Attivi dal 1979 i Nightingales vissero anni di discreti successi (anche se di nicchia stiamo parlando) fino al 1986, anno in cui si sciolsero dopo parecchi 7″, tre album e ben otto partecipazioni al John Peel Sessions (molto ben visti e considerati dal DJ della BBC che ha sempre avuto una sorta di ammirazione per questa band). La re-union avvenuta nel 2004 ha consentito alla band originaria di Birmingham, di registrare altri sette album, tra cui “Perish the Thought” uscito lo scorso ottobre. L’attuale formazione comprende Robert Lloyd, leader della compagine sin dagli albori, che ricordiamolo, nacque dalle ceneri di un’altra cult band della neonata scena punk inglese, The Prefects, che le cronache del tempo ci ricordano impegnati nello scorrazzare in lungo e in largo la perfida Albione accompagnando (alcuni sostengono “infastidendo”) i Clash nel White Root Tour.

Si diceva di Lloyd che ha oggi in James Smith (chitarra), Andreas Schimd (al basso) e Fliss Kitson (batteria e voce ed ex componente delle Violet Violet) gli attuali compagni di viaggio della sua ormai quarantennale esperienza musicale targata Nightingales. L’aver variato innumerevoli line-up e case discografiche in queste quattro decadi (Lloyd ha pure sfornato qualche lavoro in proprio nei periodi di stacco) ha probabilmente favorito il mantenimento di quello spirito innovativo che spesso si affievolisce col passare degli anni come accade a quelle band che resistono al tempo ma che alla fine non sono altro che una copia sbiadita dei bei tempi che furono.

L’album è stato registrato in Germania negli Faust Studio di Hans-Joachim Irmler, membro di un’altra band storica, i Faust. Altra ospite è Holly Ross dei Lovely Eggs che possiamo ascoltare nel brano “Big Dave”. Non è di certo un album “facile”, Lloyd non è mai stato un autore alla ricerca del successo commerciale. In questo suo ruolo di poeta crooner, l’attempato punk di Birmingham (è nato nel 1959, non ce ne voglia) riesce comunque a proporci un prodotto fresco, vitale e per nulla banale.

La presenza della batterista Kitson porta non solo ritmo ma un utile appoggio vocale alle performance di Lloyd, ne è un esempio “It Is”, brano che chiude l’album e che ritengo il punto più alto del lavoro in termini di energia e pathos. Se guardando il video di questo brano vi sembrasse di riconoscere il vostro vecchio professore di geografia, sappiate che è una delle cose che più infastidisce Robert Lloyd. Dimenticavo, l’altra cosa che non sopporta è il paragone con i Fall, che, se ci fate caso, mi sono ben guardato dal fare…