Non si dica che non avessimo messo i The Lathums nel mirino a tempo debito!

La band di Wigan è nelle nostre cuffie ormai da un paio d’anni, quando ancora riempivano pub prima che sale concerto, un po’ impacciati ed emozionati, ma anche emozionanti.

La formula è semplice: è un pop a trazione chitarristica con alcune punte rock, che attinge a piene mani da decenni di nomi forti del settore della loro terra albionica: dai The Beatles più spensierati ai The Smiths, passando per La’s e Housemartins (anche se il gruppo che stilisticamente più gli si avvicina sono forse i primi The Coral, difatti c’è James Skelly nella stanza dei bottoni).

L’album d’esordio, che sta volando nelle classifiche di ascolti d’oltremanica, ci consegna una raccolta di pezzi dove è la forma-canzone a farla da padrone, il traino della chitarra acustica è evidente e si punta tutto su melodie a presa diretta e gradevoli progressioni armoniche, con testi solitamente dolci e sentimentali.

Certo, il bacino d’utenza difficilmente supererà  i 30 anni, il grado di sperimentazione è minimo per quanto si cerchi di toccare il folk-country (“I’ll Get By”) come lo ska revival (“I See Your Ghost”) passando per alcune iniezioni più rockeggianti (le trame d’elettrica di “Artificial Screens”, la chiusura affidata a “The Redemption of Sonic Beauty” che apre e chiude con un piano lennoniano ma trova spazio per una breve supernova di chitarra). Ma, come detto, è la ballad da mezza stagione, a debite punte zuccherine e presa per mano da pulite pennate di chitarra alternate a rintocchi jangly, a segnare il passo con ritornelli edibili a più non posso (“Oh My Love”, “I Know That Much”).

La penna del cantante Alex Moore funziona e sembra avere ancora tanto inchiostro in serbo, la band lo segue appassionata e i margini di miglioramento ci sono eccome: quindi, niente sensazionalismi, ma i The Lathums con questo album mettono a referto un esordio gradevole ed incoraggiante.