Gianluca Secco è un artista che seguo da tempo, ma posso dire che la mia passione per la sua vicenda artistica è scoccata in occasione di un’edizione del Premio Tenco – era il 2016 – , dove si aggiudicò tra l’altro la speciale Targa NuovoImaie.

Ricordo che su quel prestigioso palco fu assolutamente magnetico e coinvolgente nel proporre una performance dove canzone e teatro si mescolavano perfettamente, e dove la sua voce si faceva essa stessa strumento, in un riverbero potente di suoni, ritmi e suggestioni.

Il precedente titolo a suo nome (“Immobile”), giunto dopo una lunga parentesi fatta di varie esperienze in giro per l’Italia e per l’Europa, importanti al fine di acquisire una propria via musicale, originale e consapevole, si muoveva su quel filone, con Secco a “vivere” sulla propria pelle ogni singola particella di quel lavoro, dal suono primitivo e al contempo elaborato e raffinato.

A distanza di sei anni da quel folgorante esordio, era tanta l’attesa per scoprire in quali altre vesti si sarebbe palesato, lui che mi vien da definire camaleontico, per la capacità  di appropriarsi di linguaggi differenti, piegandoli nel migliore dei modi al proprio stile comunicativo.

“DanzaFerma” non delude le aspettative, anzi, se vogliamo va ad amplificare le buone impressioni destate in precedenza, con il cantautore di origine friulana che allarga il raggio d’azione dal punto di vista prettamente musicale, regalandoci un album che è un vero caleidoscopio di generi e atmosfere, cosicchè diviene difficile incasellarlo in uno specifico ambito.

Sottolineato questo aspetto – anche perchè è il primo che balza alle orecchie, mettendosi all’ascolto di queste nuove undici canzoni – è doveroso però ribadire quanto sia preminente ancora una volta il lavoro sui testi, le parole, e le loro relative chiavi interpretative.

Al di là  delle indubbie qualità  e del valore del disco, a fare la differenza è proprio lui, col suo modo di veicolarci dei messaggi, dei contenuti, che al solito toccano le corde dell’anima, scavando nel profondo. Non c’è spazio per frivolezze e superficialità , ma viene il sospetto che, se anche fosse fossero presenti dei pezzi più “leggeri”, il suo particolare cantato finirebbe per valorizzare e dare spessore anche in quei casi.

Ogni episodio assume così grande valenza nel contesto narrativo dell’opera e risulta difficile scegliere quello che da solo ne possa incarnare l’essenza.

“Sangue”, posta in apertura, ci indica l’umore generale di cui “DanzaFerma” è contornata, ed è forse la canzone che più si riallaccia alla precedente fatica del Nostro, con il suo andamento lento, tribale e parole dense e cariche di pathos, sin dal suo memorabile incipit: “Terra gravida, malinconica/breve affanno bestemmiato/Catrame incolore appiccicato/alcool in pillole/Lacrime recintate/il mio popolo sterminato”.

La title-track viene immediatamente dopo e mantiene la declinazione ossimorica del titolo per tutta la sua durata, mediante sinuose e affascinanti sonorità  alla Doors (variante “Riders on the Storm”) e autentici paesaggi poetici, quali: “Spettina la tela/mordi, la cipria/Libera come una Dea/zingara, fiera/Nuvola di seta/che al vento si posa/Perle soffiano, accarezzano/labbra, rughe, ventre e pelle/dissetano/Ricucirò lenzuola di tiepida attesa/sete lieve, mentre/danzi ferma”.

Quella di Gianluca Secco è una moderna canzone d’autore, ricca, contaminata, che sa innestarsi mirabilmente a seconda delle necessità  contingenti in universi segnati dal blues, dal jazz, dal rock, persino dal reggae, se pensiamo alla fiera “La rèvolution” (“Voglio ristrutturare/ogni pensiero/di Rivoluzione/Voglio dissacrare/opere distintesi/per valore”); in questa metamorfosi, in questo profluvio di rimandi, è molto significativo il connubio artistico instaurato negli ultimi anni col pianista e compositore Antonio Arcieri.

In particolare, sono quelle canzoni nate al pianoforte che innalzano a mio avviso il livello del disco, conferendone complessità  e spessore, e dove sostanzialmente viene messa in luce la particolare capacità  di Secco di emozionare, inchiodando all’ascolto, senza tanti artifici.

Prendiamo la feroce e accorata “Di schianto” o la cruda e suggestiva “Senza Velo” (corredata da un emblematico videoclip), le cui incalzanti note del piano seguono con veemenza parole che non lasciano scampo, nè tentativi di interpretazione: “Ora cerca Dio senza velo/le hai cavato gli occhi/di questo veleno/mi sono armato/Ho indossato una bomba nell’ombra/stringo tritolo in cintura/esploda l’onore, l’odio/l’ira, il terrore”.

Non ci sono cadute di tono, la tensione rimane palpabile anche altrove (basti pensare alla drammatica “Muta”, sul purtroppo sempre attuale tema della violenza sulle donne), resa magari con un ficcante rock, come nella vigorosa “Pasto nudo”, ma in fondo, arrivando a una conclusione, la dote principale di questo artista unico nel suo genere è proprio quella di fondersi in un tutt’uno con la sua arte.

Nel farlo, riesce a trasmetterci forza e coraggio, resistenza e dignità , la voglia di rialzarsi dopo le inevitabili cadute: tutto questo traspare in maniera evidente quando si ascoltano canzoni intense e viscerali quali “Aria” e “Ottobre”, volendo citare quelle dove la potenza delle parole viene ampliata dall’incedere e dalla potenza della sua voce, così teatrale ed espressiva.

Potrei azzardare dei paragoni illustri, dicendo che sembra di trovarci al cospetto di un perfetto mix tra Luigi Tenco e John De Leo, ma credo sia più corretto rimarcare che Gianluca Secco possiede una peculiarità  tutta sua, e doti innate che lo impongono di diritto tra gli artisti più completi e interessanti della sua generazione.

Credit foto: Mauro Cacciotti