Tutto questo non ha nulla a che fare con Via Margutta.
La città  eterna è lontana anni luce, così come la nostra “amata” musica nazional popolare e tutto quello stuolo di ragazzette, che come cantava Luca, “ce l’hanno solo loro”. Tirate quindi pure un sospiro di sollievo e andate avanti, il peggio è passato.
Chissà  perchè poi un tizio di Londra, trasferitosi in uno sperduto villaggio di pescatori scozzese, decide di nascondersi dietro il moniker “‘Barbarossa’, provocando visibile confusioni nei voraci ascoltatori indie del belpaese.
Chissà  poi perchè lo stesso tizio senta il desiderio di imbarcarsi a nord in cerca di una comunità  di artisti un po’ hippie che lo faccia sentire apprezzato, considerato che tra Adem (produttore del suo primo EP), Simon Lord (ex Simian e produttore di quest’album) e Talvin Singh (spesso si sono trovati a suonare insieme”…), al nostro James non sembrava mancassero compagni di allegre strimpellate.
Questioni di chimica.

Sta di fatto che il collettivo Fence, manipolo di temerari dislocati nella piccola cittadina scozzese di Anstruther ed uniti dal solo desiderio di comporre senza obblighi discografici, questo Barbarossa l’hanno accolto a braccia aperte. Impossibile fare diversamente dal momento in cui il rosso, a giudicare dalla musica per nulla “‘malpelo’, ti si presenta con un gioiello acustico come “Love And You”, ai più sarà  sembrato di intravedere tra le nebbie che inesorabili salgono dal mare, il fantasma di Elliot Smith o Jeff Buckley imbracciare una sei corde e straziarsi il cuore.
Miglior biglietto da visita, fidatevi, non esiste.

Il resto di “Chemical Campfires” non è certo da meno.
Semplice, sospirato, raccolto intorno alle sue storie di rimpianti, amore, disillusione. Da queste parti le emozioni sincere non sono assolutamente merce rara, è facile caderci dentro con la stessa frequenza con cui, prima o poi, in qualsiasi soggiorno oltre-manica la fitta pioggerella diventa immancabile compagnia di viaggio.

Folk arricchito di tutto l’armamentario d’occasione, banjo, fiati, harmonium, violini, ma sempre senza strafare, senza, per intenderci, allestire quelle orchestrine che vanno tanto di moda di questi tempi, impalpabili intromissioni elettroniche che sarebbe esagerato definire folk-tronica e ancora di più indie-tronica, e quella voce intorno sulla quale, suoni e arrangiamenti calzano come il migliore dei vestiti confezionato dal migliore degli stilisti.

Finito il tempo di reperire in giro compagni con cui suonare o produrre musica, per James, “red-beard”, è arrivato finalmente il momento di aprirsi ad appassionati ascoltatori capaci di innamorarsi delle sue atmosfere. Non gli sarà  difficile, anche e soprattutto da noi, nonostante quel nome.