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La noia ci massacra le carni. La noia ci spappola l’anima. Bestia insaziabile ci costringe ad inventarci le cose più inutili. Lavorare meno, annoiarsi tutti. Corriamo dietro paraventi fumosi, ci inebriamo di nulla solo per tenere la belva almeno ad un metro di distanza. E’ la croce che si porta addosso chi ha tutto. E’ una battaglia che dura una vita. La frenesia è la risposta peggiore. L’antitodo non esiste, milioni di omuncoli sfrecciano a destra e a sinistra credendo di realizzare sogni e progetti. Balle. E’ solo un modo per non morire prima e più velocemente. Il tedio definisce le nostre abitudini, le finte passioni, il modo di vestirsi, l’affanno di organizzazioni inutili, uno spreco di muscoli facciali che simulano e mentono bellamente. Solo un’alternativa al silenzio di una stanza vuota. Un punto di fuga è nell’abbandono estatico, nella proiezione oltre lo steccato che ci inchioda al giudizio. Un po’ di sollievo è nella musica, dalla potenza ultraterreste di Beethoven alla magia pop di tre minuti di soffice levità . La tragedia è quando la noia s’impossessa del magico dischetto. La stessa sensazione di un amico che tradisce, che si spoglia della indubitata sicurezza, un fronte sguarnito, il nulla che circonfonde. Ora il problema nasce non tanto nella musica dei losangelini Lavender Diamond, che anzi propongono un folk-pop molto ben suonato, ricercato nei fraseggi e tutt’altro che scontato nelle soluzioni orchestrali, ma nella voce della cantante, Becky Starck, che getta alle ortiche tutto il discreto lavoro fatto dagli altri mebri della band. Uno stampo vocale agreste, in totale adorazione di certo country americano di inizio anni ’60, disturbantemente manierista ed imbrigliato nella forma come se fosse ad un’audizione presso un maestro di canto, non libera emozioni ma al contrario spande un alone soporifero devastante. Se a tutto ciò si aggiunge una sequela di continui messaggi in stile ‘peace&love’, la faccenda si fa complicata. Perchè una cosa è farsi belli dinanzi ad Al Gore, un’altra è cercare di essere credibili nel 2007 con certi testi paranoici. In alcuni tratti si scorgono bagliori interessanti come nella languida ‘My shadow is a monday’, o come nella piccola ballata per pianoforte ‘Bring me a song’, ma la sensazione che se ne ricava è quella di una scarsa naturalezza nell’impostazione. Il ritmo sale fino a diventare brioso come in ‘Here comes one’ ed in ‘Open your heart’, che regalano momenti divertenti. Si ha come il sentore che il compitino venga svolto bene ma senza passione, mancando totalmete di urgenza e di quelle piccole imperfezioni che rendono unico ed amabile un disco. Un po’ come quando si prendeva quel 6 stiracchiato al compito d’italiano, infarcendolo delle più truci banalità  pur di portare a casa il risultato. In conclusione un album non malvagio ma che si fatica a sentire per intero e che raramente regala emozioni genuine inchiodandosi dopo due o tre tracce ascoltate di seguito. No, non ho detto gioia, ma noia noia noia….

Cover Album
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Imagine Our Love [ Rought Trade – 2007 ] – BUY HERE
Similar Artist: My Brightest Diamond, Grizzly Bear, Vetiver
Rating:
1. Oh No
2. Garden Rose
3. Open Your Heart
4. Side of the Lord
5. I’ll Never Lie
Again

6. Dance Until Tomorrow
7. Like An Arrow
8. My Shadow Is A Monday
9. Bring Me A Song
10. Here Comes One
11. Find A Way
12. When You Wake For Certain