New York, 1952.
E’ sera, dalla strada sbuffano i tombini e i taxi passano lungo le avenue. Svoltiamo la seconda strada a destra, in un vicolo cieco, il selciato è bagnato e il mio vestito lungo rischia di rovinarsi. Per fortuna il locale è vicino, ben illuminato da un’insegna rossa che si accende e si spegne: il portiere ci invita a seguire la musica (che questa sera è dal vivo) e ad entrare. L’atmosfera è molto più lussuosa di come ci si poteva aspettare, coppie distinte ed eleganti ai tavoli, champagne sui tavoli , vestiti all’ultimo grido, collane di perle al collo delle signore. Sul palco, seduto con la chitarra in braccio, c’è il musicista di turno, Richard Hawley, direttamente dal vecchio continente, che allieterà  la serata con brani noti e inediti. [“…]
Ecco questo potrebbe essere il contesto adatto per presentare il nuovo album del musicista di Sheffield, “Lady’s Bridge”. Perchè Richard Hawley, chitarrista dei Pulp di “This Is Hardcore”, nella sua carriera da solista deve molto alle sonorità  americane anni ’50, connotate da un’inconfondibile eleganza e romanticismo.

Nonostante questo tributo americano, Hawley dimostra ancora una volta l’orgoglio per la sua terra natia, intitolando l’album “Lady’s Bridge” come uno dei più antichi ponti della cittadina di Sheffield, come aveva fatto anche col suo lavoro precedente “Coles Corner”, una delle strade della città  inglese. E forse, a ben ascoltarlo, la matrice inglese salta fuori anche qua e là  tra i suoi brani, anche se non così smaccatamente come accade invece al suo concittadino nonchè amico e collega Jarvis Cocker: ma ormai lontani sono i tempi in cui Hawley era noto in quanto chitarrista dei Pulp, nel tour di “This Is Hardecore”.

Oggi resta Richard Hawley solista, inguaribile romantico degli anni 00.
“Valentine” è il brano che apre il disco, e preannuncia l’andamento del tutto: melanconica ballata accompagnata dagli accordi della sua chitarra, a cui segue l’altrettanto nostalgica “Roll River Roll”, nella quale le parole si perdono in misteriose e poetiche similitudini. Lee Hazlewood e la scena americana dell’epoca non può che venirci in mente. Non è un caso che nel 2002 Hawley e Cocker registrarono insieme un album tributo ad Hazlewood (che, tra le altre cose, è passato a miglior vita da nemmeno un mese”…).
I suoni si fanno più carichi con “Serious”, senza però discostarsi troppo dal folk, fino ad arrivare a “Tonight The Streets Are Ours”, singolo pomposo e raffinato, più ritmato dei precedenti, che ricorda gli ultimi lavori di Morrissey.
Il marchio di Hawley si fa sentire ovunque in questo suo quinto album, ogni nota si esprime poeticamente attraverso le parole, l’amore, la lontananza, la natura. In “Dark Road”, più prettamente folk, si avvicina a Johnny Cash, toccando invece suoni più tristi nella traccia omonima al titolo dell’album, “Lady’s Bridge”.

La calda voce di Hawley si mescola a motivi puramente orchestrali e lenti nella traccia che chiude l’album “The Sun Refused To Shine”, che va pian piano sfumando, accompagnato da una voce femminile che addolcisce il suono.
Undici brani che confermano ancora una volta Richard Hawley come uno dei migliori crooner contemporanei, amante del canto enfatico e sentimentale e delle ballate romantiche, niente di nuovo rispetto ai suoi precedenti, ma un album di grande eleganza e maestria.
Ma forse per passare alla storia ci vuole qualcosa di più.

Credit: Eddie Janssens, CC BY 3.0, via Wikimedia Commons