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In Svezia gli inverni sono interminabili. Dopo una breve parentesi estiva le giornate si accorciano lentamente, i gradi centigradi diminuiscono e il vostro appartamento diventa un imprescindibile caldo rifugio per il grande freddo alle porte. In quest’ordine di idee i The Grand Opening non potevano scegliere copertina e titolo migliori per il loro secondo capitolo discografico con “Beyond The Brightness”, un tripudio di percorsi introspettivi e fragili melodie distribuiti lungo nove tracce. Operando una sorta di riduzionismo musicale a livello di testi e note, il trio originario di Björkhagen gravita intorno alla figura centrale di John Roger Olsson, carismatico deus ex machina amante delle sonorità malinconiche dal lento incedere. Per gli amanti delle coordinate musicali ci troviamo in una terra di mezzo sospesa tra il post-rock dalle venature popolari dei The Sea And Cake e le atmosfere saturnine ad alto impatto emotivo del connazionale Ariel Kill Him (alias David Lehnberg). L’opera si fa notare per la quasi granitica omogeneità di fondo in cui solo “Chainbreak” si allontana stilisticamente dal lotto con divagazioni dal retrogusto evocativo tanto care ai My Morning Jacket. Per il resto tanti passaggi strumentali incentrati sulle chitarre, dove la presenza di percussioni e piano è ridotta al minimo salariale e la voce di Olsson spesso viene avvolta dal riverbero. Tra gli episodi più riusciti meritano la menzione i paesaggi scuri ed incantati di “Trapdoor” e la struggente alchimia di “Lonely Hearts Night Out”. Nel complesso nulla di epocale sia ben chiaro, ma il gruppo svedese dimostra ancora una volta che la Svezia è ben più di indiepop giocoso e fenomeni da baraccone mediatico a veloce consumo. Per i fan delle molteplici sfaccettature della malinconia. |
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