I Tunng tornano dopo due anni da “Songs You Make at Night”, con un album completamente incentrato sulla morte, un lavoro che non nasce ora e comunque non ha nulla a che vedere con il momento che stiamo vivendo, ma che per ovvi motivi finisce per avere un peso specifico importante per ognuno di noi.

La band lo fa con il suo stile, tutto sommato allegro e spensierato, e con una certa dose di ironia, ma resta comunque un tema che a qualcuno potrebbe risultare un un po’ pesante in un periodo in cui, forse, la via della spensieratezza è la migliore da ricercare.

Prima di affrontare i testi però direi di concentrarci sugli aspetti musicali che ci propongono il classico sound alla Tunng, quello che li caratterizza tanto ma nel quale ritroviamo un po’ la band delle origini, con meno elettronica, più chitarra acustica e l’utilizzo di tanti strumenti tra cui oboe, archi e vibrafoni, con la solita capacità  di rendere un suono magicamente pulito e limpido, impreziosito da arrangiamenti sempre perfetti.

I brani si susseguono con una qualità  immutata dall’inizio alla fine: certo che il momento di emotività  maggiore lo abbiamo in “Carry You”, una lenta ballata sul ricordo delle persone che non ci sono più e che ci portiamo con noi nel ricordo e in “The Last Day”, con il coro che ci ricorda come la vita sia breve e come ogni momento sia da vivere intensamente, insomma come vedete c’è da stare allegri.

I brani interessanti comunque sono molti, sia per la musica che per i testi che amo leggere in una dimensione semiseria e in fondo ironica, ma non sono del tutto sicuro della mia interpretazione, come nel caso di “Eating the Dead”, in cui viene cantata la ritualità  tribale di mangiare i propri cari per averli con se dopo la morte, almeno fino alla digestione aggiungo io, per scongiurare il nulla e l’oblio, o come per “Death is the New Sex” nella quale si gioca sulle incapacità  di superare i tabù, un tempo il sesso oggi la morte, cantandoci ” Death is the new Sex Everybody’s talking about it Death is the new Sex Coming soon to fuck us all “, e il gioco di parole ci sta tutto.

Se sperate di tirarvi sul il morale con gli altri pezzi vi consiglio di lasciarvi semplicemente cullare dalla sempre piacevole musica della band, magari senza approfondire troppo i testi, a meno che non vogliate ritrovarvi ad organizzarvi per lasciare tutto in ordine prima di morire “SDC”, a pensare a come superare la paura dell’incertezza della vita dopo la morte “Scared To Death”, a riflettere sulla vostra realtà  di esseri finiti “Fatally Human”, e infine, per chiudere in bellezza, a come affrontare la malattia dei propri cari “Tsunami”.

Per quanto i temi trattati siano particolarmente e costantemente tenebrosi e difficili, creando una specie di concept album, la band, come si diceva, riesce a cantarli in   modo piacevole e in fondo allegro, nel tentativo non tanto di deprimere, quanto piuttosto di invitarci a trovare una via che sia una catarsi, una purificazione del nostro pensiero sulla morte.

Un album piacevole e interessante, ma i Tunng  ancora non decollano, lasciandoci in attesa del capolavoro, che siamo sicuri saranno in grado prima o poi di regalarci.