Il debutto nel 2004 del giovane cantautore texano di Austin, “Micah P. Hinson and The Gospel of Progress”, fu un capolavoro.
La sua voce roca spiccava tra le note country della sua chitarra, lasciando trapelare lievi stonature che aggiungevano qualità  straziata alla canzone.
Con il passare degli album, Micah P. Hinson cresce, ed arriva al suo terzo lavoro, “Micah. P. Hinson and the Red Empire Orchestra”, con una, come al solito bellissima, foto in bianco e nero in copertina.
Micah si fa sentire profondo e intimo, ma ci appare più pacato degli esordi, placando le roche grida dei primi lavori per approdare verso lidi più composti e dentro le righe. Per intenderci, non aspettatevi brani come quel capolavoro che era “Patience”. Aspettatevi però un disco molto ben composto, elegante, maturo come si suol dire, di counrty-folk alternativo.

Si apre con l’americanissima “Come Home Quickly Darlin'”, un incipit fatto di suoni lontani e leggermente gracchianti, come fosse un vecchio vinile sul giradischi che sfocia poi in un country più pomposo ed orchestrato. E’ un Hinson romantico, che trasmette tutta la sua profonda eleganza attraverso questo lentissimo brano che cresce piano piano in lirismo.
Nella successiva “When We Embraced” emerge maggiormente la chitarra acustica e le note vengono condite da un tocco epico e “’50’s, un po’ crooner, che riaffiorano anche in “Throw The Stone” nella quale si aggiunge un banjo o in “I Keep Havin’ These Dreams” dove spiccano gli archi, avvolgendo il tutto in un alone misterioso e sognante.

In chiusura, c’è la bellissima “We Won’t Have To Be Lonesome”, il brano forse più pop del disco, altra ballata da crooner americano che precede “Dyin’ Alone”, dalle sfumature più country e quasi parlata.
Micah, il cantautore dall’aspetto di fanciullo, dimostra grande talento nella ricercatezza dei brani e nelle scelte strumentali, lasciando intravedere non tante novità  in questo suo ultimo disco, quanto però consolidate e mature basi musicali.