Acoustic Ladyland
Living With A Tiger

Dieci pezzi per poco più di mezz’ora di musica: il ritorno dei londinesi Acoustic Ladyland, a tre anni di distanza dal precedente e folgorante “Skinny Grin”, non pecca certo d’incertezza e barocchismi. La strada è sempre quella ma, insieme a un parziale cambio di formazione, troviamo meno orecchiabilità  e più intransigenza: il sound è sempre duro e cinetico, anzi forse lo è pure di più, vi sono meno concessioni rispetto al passato nei confronti dei momenti più ballabili (per i più distratti basta dire che in questo caso non abbiamo nessun singolone sulla falsariga di “Cut & Lies”) e l’amalgama è completamente strumentale.

Ovvio che a far da padrone sulla scena è principalmente il sax del leader Pete Wareham (subito dall’iniziale “Sport Mode”, epica, adrenalinica e fottutamente post-core), ma è impossibile non citare la granitica sezione ritmica che più di una volta guida le danze e le porta in territori quasi hard-rock (per esempio la titletrack o una “Gratitude” tutta stop and go); novità  rispetto al passato è la presenza di un chitarrista in pianta stabile, ottima la scelta di Ruth Goller, prepotente e nervoso, cresciuto a pane e King Crimson. Saltano fuori così caustici, taglienti e ricercati quadretti di schizofrenia jazz-rock come “Have Another Go”, sfuriate acide e incontenibili come “Not So” o illusorie oasi (tutt’altro che rilassanti) come “The Mighty Q” e “Worry” (entrambe cariche di quella rabbia sopita, sempre pronta ad esplodere, tipicamente post-rock).
Neppure in conclusione ci si rilassa un poco: anzi l’incedere sghembo e minaccioso di “You And I”, reso un poco più mistico dal perfetto sax di Wareham, ci lascia straniti, abbattuti da questo inedito maglio sonico.

La band britannica, nel suo vortice d’influenze e inventiva propria, sforna un disco che volgarmente potremmo definire coi controcazzi: un disco pesante, ostico e abrasivo, che, soltanto dopo un lento approccio, regala il meglio di sè.

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