Adele Atkins mi sta simpatica. Mi piace perchè nel turbine dell’indie pop di chiara ispirazione 60s di un paio d’anni fa è riuscita a dare un tono piuttosto personale a quanto cantato, perchè vende bene nonostante non sia una figa galattica, perchè a dispetto degli egregi risultati di vendita registrati dal suo esordio ha resistito a cantare porcherie pop-soul che manco Mariah Carey, come avrebbero voluto in molti.
Per dire, non siamo davanti a una scialba versione bonza della desaparecida Winehouse, ma a un’interprete con una propria personalità .

Proprio per questi motivi, in seguito all’ascolto del primo singolo della nuova era discografica, l’ottima “Rolling In The Deep”, sfogo soul condito d’orchestrazioni sublimi, giustamente premiata nelle vendite, le aspettative hanno cominciato a salire rapidamente. Aspettative non del tutto soddisfatte, duole ammettere.
Nella sua interezza, l’opera seconda di Miss Atkins, che registra un’indubbia evoluzione se non altro sul piano compositivo e orchestrale (la XL ha giustamente premiato gli inaspettati incassi del debutto con delle registrazioni all’altezza), risulta infatti abbondantemente più melensa del previsto. Non che “19” lesinasse in melodie carezzevoli, ma il passaggio da una dolce “First Love” a una colata di miele in quantità  aziendale come potrebbe risultare ai più l’ascolto di “Don’t You Remember” o di “Take It All” si sente, e si sente anche troppo.

Anche nei momenti meno idilliaci e più movimentati sembra che manchi qualcosa; “Rumour Has It”, “I’ll Be Waiting”, “He Won’t Go”, tutti brani indubbiamente piacevoli ma a cui pare manchi una miccia, lo slancio finale che contraddistingueva la maggioranza dei brani dell’esordio. Fortuna che a quel compito accorrono, oltre al sopracitato primo singolo, il pop finissimo di “Set Fire To The Rain”, il ritornello killer di “Rumour Has It” e “Someone Like You”, puro esercizio di stile, attuale apice della carriera della giovane inglese.