Il lettore Alessandro commentando la recensione ad “Actor”, album del 2009 di Annie Clark in arte St. Vincent, disse che si trattava di un’artista che avrebbe fatto “tanta tanta strada”.  Fu buon profeta, seppure facilitato dall’oggettiva validità  di quel disco, infatti la Clark ricevette ottime recensioni sui media “giusti” e diversi suoi pezzi vennero usati dal cinema e dalle serie TV americane, facendole scalare le classifiche (come si diceva una volta).

A due anni di distanza mi trovo per le mani questo “Strange Mercy” che dal punto di vista degli ingredienti è molto simile al suo predecessore: stessa etichetta (4AD),  stesso produttore (John Congleton), storie al femminile di insicurezze, inquietudini e frustrazioni, toni che vanno dai più lenti (ma mai pacati) ai più concitati, arrangiamenti tendenti all’ampio respiro e mescolanti elementi elettrici, sintetici ed elettronici. Il pop che viene strapazzato e stracciato alla ricerca di una via arty, ormai piuttosto riconoscibile, così come la voce di Annie,  capace di cambiare registro con grande naturalezza (nell’iniziale “Chloe in the Afternoon” vicinissima a Bjork) e la straordinaria capacità  di suonare praticamente qualunque strumento, paragonabile soltanto a quella di Beck. Se a questo aggiungiamo un talento chitarristico fuori dal comune e lasciato totalmente libero su “Strange Mercy”, capite che c’è materiale bastante per gridare al miracolo.

Ed è esattamente ciò che ho fatto io ascoltando la doppietta iniziale formata da “Chloe in the Afternoon” e il singolone “Cruel”, roba da far drizzare i capelli. Ma già  dalla seguente “Cheerleader” e poi con “Surgeon”, brani più compassati, direi quasi classici dello stile della musicista di Dallas, avverto che qualcosa non va. Per carità  i brani sono bellissimi, perfetti nella loro confezione e mai banali, tutto suona a meraviglia ed è proprio per tutti questi motivi che non riuscivo a comprendere perchè “Strange Mercy” non creasse in me dipendenza. Perchè non mi tormenta come un “Odelay”, non mi rapisce come un “Let England Shake” o non mi dilania come un “Tidal”? La scelta di artisti come PJ Harvey e Fiona Apple (oltre al già  menzionato Beck) non è casuale  perchè loro echi sento nella musica di St. Vincent, eppure hanno qualcosa in più, ma cosa? Alla fine ho trovato la risposta, ciò che manca alla tecnica perfezione di un album come “Strange Mercy” è l’essere umano che sta dietro ogni opera d’arte; non si vede Annie Clark, lo sporco della sua esistenza, ciò che arricchisce i personaggi che di volta in volta sceglie di rappresentare.

In una vecchia intervista, l’ho sentita raccontare che abbandonò il Berklee College Of Music perchè quanto si impara a scuola, ad un certo punto, deve essere disimparato per esprimere sè stessi. Io credo che questo debba ancora avvenire. La via è aperta, come si evince negli ultimi due brani in scaletta “Hysterical Strenght” e “Year of the Tiger”, cavalcata senza remore la prima e dal ritmo marziale la seconda, dove la mente prende una pausa ed escono le viscere, dimostrando che pure un corpo efebico come quello della piccola Annie è fatto di calda carne.

“Strange Mercy” è un disco cinque stelle e non solo per i tempi grami che viviamo, ma perchè mostra un’artista dalle capacità  superiori al massimo della concentrazione e dedizione alla propria musica, però qui si danno giudizi inevitabilmente personali, perciò tant’è.