Non so se Zola Jesus abbia compiuto uno sforzo completamente a fuoco, perchè l’ispirazione non ne richiede, l’ispirazione affiora inconsapevole come le zagare sulle colline riarse, è tuttavia palese come dosi di ammorbidente e sbiancante siano scivolate lungo la creatura ”Conatus”; tante e tali da neutralizzare il furore da epistassi dei precedenti rigurgiti(”Spoils” su tutti) lungo una colata mediamente placida, confortevole come le masse appacificate ma orfana di quel sinistro rumore che arrovellava le orbite oculari e lo stomaco.
Nika si macchia di bianco-un bianco sporco intendiamoci- perchè il salmodiare oscuro e cavernoso rimane sempre al limite del luciferino così come la vena goth connaturata all’immanenza della voce, ma lo strappo tra l’underground e la grande utenza ora si estende a macchia d’olio.
Non si tratta di lesa maestà  alle origini lo-fi /dark/wave, già  ”Stridulum” aveva in sè germi benevoli e cristallini -è solo una questione di scelte e ”Conatus” sceglie la forma pop.

Le litanie claustrofobiche ora si aprono alla luce dell’appetibilità  come belve addomesticate, se in passato eravamo in piena apocalisse ora possiamo dire di averla superata grazie ad una virata di eterea malinconia, un appeal che fa molto 90’s e le allucinazioni di Lady Gaga.
Non che il tripode Diamanda Galas/Siouxie/Lydia Lunch sia bruciato nella foga mainstream ma ogni riferimento ora appare veramente casuale; perchè Nika ha indubbiamente una sua cifra stilistica personale- e forse cerca proprio di delinearne i tratti somatici fregandosene dei numi- pero’ è palpabile un’ appiattimento generale delle intenzioni.

Dell’urgenza che dominava i precedenti lavori la tracciasi è persa.
Se “Avalanche” restituisce un po’ il corpo criogenico dell’artista, refrigerando l’emozione e poi subliamndola grazie a una vocalità  quasi disumana (sostegno di synth invasivi e funzionali al memorandum emotivo) il taglio disco di “Seekir” e lo scialbo mood electro di “Ixode” segnano invece i momenti di maggior discontinuità  col passato.
L’impennata techno-pop di “Hikikomori” e le limpide vesti da sacerdotessa pop in “Lick The Palm Of The Burning Handshake” confermano la direzione: ripulirsi e aprirsi al nuovo, nell’approccio/produzione musicale e nell’immagine(vedasi copertina immacolata).

Onore e ossequi alla ricerca del sè dunque-sempre di conato evolutivo si tratta- è un peccato pero’, che proprio in quest’annata di grandi ritorni al femminile(Pj Harvey e Feist come giganti) Zola Jesus debba perdere il suo posto sotto la voce ‘Ispirazione’.