Di tutto l’universo glo-fi, Neon Indian rappresenta il progetto più ambizioso. Uscito alla ribalta nell’estate di due anni fa, insieme a tutto il carrozzone, ne ha impersonato la folgorazione. Facce allibite, immagino, in attesa di comprendere se quella musica capitatagli tra le mani fosse uno scherzo, o qualcosa di più serio. “Psychic Chasms” era una collezione di allucinazioni ad 8 bit. Una fiera postmoderna di feticci analogici. Un album cui la critica non ci ha messo poi molto ad accogliere a braccia spalancate e ad intuire quanto fosse necessario contestualizzare, ridurre a schemi più semplici quel caos di suoni e fascinazioni.

Alan Palomo, corpo e mente del progetto Neon Indian, aveva lanciato il segnale. Forse una provocazione. E dopo il botto non gli restavano che poche alternative: fermarsi immobile a contemplare il suo complicato ombelico; perpetuare l’attacco, indefesso, crogiolandosi nella possibilità  che ci fosse ancora di che osare; oppure fare un passo indietro, metabolizzata la vittoria, e fare i conti con la maturità . Delle tre, l’ultima: “Era Extraña” è l’opera di chi ha smesso, una volta per tutte, di credere alle ideologie, ma ne è ancora attratto.

A pochi mesi dalle uscite discografiche degli imparentati Washed Out e Memory Tapes, Neon Indian prende le distanze, in parte, e cerca il botto. Alla produzione si fa accompagnare da Dave Fridmann (Mercury Rev, Flaming Lips, MGMT): come a mettere la palla sui piedi di Beckenbauer. E registra il tutto nella fredda Finlandia, tanto per togliersi dalle palle il peso di quella “Deadbeat Summer”. Delle strade polverose ed assolate del suo Texas.

I primissimi secondi dell’album sono dei puntini di sospensione che legano il vecchio con il nuovo come fosse un’unica narrazione, ma una brusca frenata precede un mondo nuovo. Un mondo di visionari in preda a nostalgici romanticismi. Tutto è il contrario di tutto. “Fallout” è un flashforward nei luoghi devastati di una prossima era glaciale. Lenta, inesorabile, cangiante.  E se la musica può essere fatta di sensazioni tutto quello che avevamo in testa pensando a Neon Indian è mutato. I colori, anche quelli sono cambiati. “The Blindside kiss” è un omaggio allo shoegazing dei Jesus and Mary Chain. La title track, qui il capolavoro, è invece una possibile reinterpretazione del futuro che fu di Gary Numan o degli Orchestral Manouvres in the Dark. Tutto il resto è pop. Quello che ricordavamo, oggi depauperato di cervellotiche improvvisazioni, ma sempre zeppo di congetture eighties (“Polish Girl”, “Halogen (I could be a shadow)”,”Future Sick”). “Hearth Release” ““ breve brano strumentale già  in circolazione da qualche mese – è la sintesi di quello che Neon Indian ha nelle corde: ricercatezza sonora, visioni, melanconia.

Messa da parte la storia d’amore hypnagogica Alan Palomo si ripresenta spoglio di stravaganze, ma sicuro di sè. “Era Extraà±a” è un diesel. Uno di quegli album che ha bisogno di qualche possibilità  in più per sedurre. Ma poi ci riesce. Un disco fatto di potenzialità : talvolta espresse, altre volte latenti. Mentre “Psychic Chasms” era il punto di non ritorno, “Era Extraña” è la migliore angolazione possibile da cui fissare la meta. Le quattro stelle, allora, sono anche una questione di fiducia.