Era da “Me Against the World” di Tupac Shakur e da “Life After Death” di Notorious B.I.G. che non venivo così completamente catturato da un disco di questo genere. Ascolto e riascolto tutti i brani senza sosta, leggo e rileggo i testi, guardo tutti i video disponibili, cerco tutte le notizie e le curiosità  sull’origine e sul significato di quest’albumovunque.

Non credevo che un disco di HIP-HOP potesse ritornare a piacermi e a catturarmi così dopo tutti questi anni e dopo tutte quelle schifezze che sono state buttate sul mercato da almeno dieci anni.
Si, perchè questo è un grande disco di HIP-HOP fatto da chi ha tutti i titoli per rappresentare il genere, il movimento, la cultura e la razza che rappresenta.
E lo fanno con grande passione, professionalità  e talento.
I suoni sono attuali e suonati, le liriche sono proprio quelle di quel generesenza esagerazioni e falsi miti ed è ricco di introspezione che da anni ed anni non si trovava più surclassata ormai da medaglioni di platino e diamanti, tette e culi.

Il disco è un “conceptabum” che racconta,a ritroso partendo dalla morte rappresentata nel brano di apertura del disco “Dun” dal suono di un elettroencefalogramma piatto, la storia di un personaggio immaginario, Redford Stephens, creato dai nostri ispirandosi ad un brano di Sufjan Stevens dal titolo “Redford (For Yia-Yia&Pappou)” e riproposto qui alla traccia numero undici.
La storia è raccontata dallo stesso protagonista ed il contenuto è riassunto in quanto si legge all’inizio nel video del brano più rappresentativo di tutto l’album “Tip the Scale” : undun è la storia di un criminale che non è nato criminale. non è un altro trafficante allucinato ma è un riflessivo e non è ne vittima ne eroe. è solo uno che ad un certo punto comincia a vivere la sua vita nell’unico modo possibile in quel momento. “… che poi in fin dei conti non è quello che tutti facciamo ?

Black Thought dei Roots non è l’unica voce presente ma ci sono ben sei partecipazioni che aggiungono grande valore a ben sette brani su nove, dato che il primo è una intro e gli ultimi quattro sono una “suite” strumentale in quattro movimenti dedicata al personaggio Redford Stephens.
Il lavoro dei Rootsva ascoltato in ordine progressivo e nulla può essere tralasciato : la cullante “Sleep”, la melodica “Make My”, la metrica delle liriche di “One Time” su un piano che le incalza senza sosta, le chitarre in “Kool On”, il tipico neo-soul di “The Other Side” marchio di fabbrica dei Roots, la potenza di “Stomp”, ricordi del miglior Tupac ritrovati in “Lighthouse”, l’introspettiva I Remember, il secco e perpetuo rullante in “Tip the Scale”.

Non ce n’è per nessuno, adessoci sono solo loro a rappresentare il genere : The Roots.