Metti una sera Evan Dando, cuore e anima dei Lemonheads, in un hotel di Bondi Beach in Australia. Metti che abbia voglia di cantare. E che registri tutto. Costo dell’operazione: cinquantatre dollari tondi tondi, senza neanche un mal di testa. I fan e i cacciatori di chicche dimenticate possono gioire e dormire sonni tranquilli: “Hotel Sessions” è dedicato a loro.

Non pago di greatest hits (il più recente, “Laughing All The Way To The Cleaners” è uscito a gennaio), rimasterizzationi, reunion e celebrazioni varie, Dando ha deciso di festeggiare anche “in privato” rielaborando alcune canzoni senza veli e sovra incisioni. La preferenza và , e non è un caso, a pezzi del meno fortunato successore di “It’s A Shame About Ray”, il figliol prodigo “Come On Feel The Lemonheads” per cui il musicista dimostra di avere un occhio di riguardo (come ogni genitore per i figli problematici). “Paid To Smile” e “Into Your Arms” (“migliore di quella che è finita sul disco”, si è affrettato a dichiarare un loquace Dando) sono le perle di turno, spiccano lucenti tra le fulgide consorelle. Lo stile è quello di sempre, la voce pure e ti viene da pensare: per fortuna che non è restato “a casa a suonare il piano”, come annuncia malinconico in “And So The Story Goes”.

A Evan l’esperimento lo-fi è piaciuto molto, e gli scettici possono mettersi l’anima in pace: non è uomo da starli ad ascoltare, fa semplicemente ciò che vuole (“I’ll Do It Anyway” docet). Così “Hotel Sessions” finisce per diventare un viaggio senza paracadute nella mente di un artista, con tutti gli alti e i bassi del caso. Pensoso, riflessivo, intimo e personale, risente dell’atmosfera tranquilla delle spiagge sabbiose down under (cosa tutt’altro che negativa). Consigliato a chi sognava e sogna di avere Mr. Dando che suona in libertà  nel proprio salotto.