In occasione dei suoi primi 10 anni di carriera Patrick Wolf, sulla copertina di “Sundark & Riverlight”, si fa ritrarre come il soggetto di un quadro fiammingo, imbracciando uno strano strumento folk russo e con la Venere del Botticelli alle sue spalle. Ambizioso come suo solito, Patrick per autocelebrarsi al meglio ha preparato un best of in versione doppia ed acustica. L’intento è commemorativo, ma “Sundark & Riverlight” è più di ogni altra cosa un modo per rimuginare sul percorso artistico del musicista inglese.

La carriera di Patrick Wolf è infatti caratterizzata da profondi alti e bassi. Ottimi i primi due album, soprattutto “Wind in The Wires” dove il nostro dà  il meglio di sè, seguito poi da altri episodi che ne segnano lentamente la decadenza. Un iter tipico di quelle celebrità  che raggiungono uno stato di grazia precoce a cui non riescono a dare un seguito altrettanto fortunato. L’anno scorso Patrick con “Lupercalia” ha infine tentato il tutto per tutto: diventare finalmente una popstar internazionale sfondando nel mercato americano. Non gli bastava fare tappezzeria ai party organizzati da Madonna e sfilare sui red carpet come “eterna promessa del pop”, Patrick voleva di più, duettare con Rihanna come hanno fatto i Coldplay ad esempio, anzi no, con Lana Del Ray di cui s’è subito prodigato a fare una cover di “Born to die”, non fosse chiara la bramosia di uscire dagli stretti confini europei. Ma “Lupercalia” fallisce il colpo, non conducendo Patrick dove egli avrebbe voluto. La situazione era comunque già  incerta da “The Bachelor”, fantomatica prima parte di un disco gemello, intitolato “The Conqueror”, che sarebbe dovuto uscire di lì a poco. Progetto cassato e poi sostituito proprio con “Lupercalia”.

Patrick Wolf è un artista molto ambizioso ma non sa bene dove indirizzare le proprie aspettative, quindi spesse volte è costretto dalle circostanze a cambi di rotta e ripensamenti.”Lupercalia” dunque, non aprendogli le porte del mondo lustrato e patinato del pop americano ha fatto si che Patrick Wolf con “Sundark & Riverlight” tornasse all’ovile, al rassicurante luogo natio. Un ritorno alle origini necessario, quasi rappresentasse l’espiazione alle recenti stravaganze, musicali e non.

“Sundark & Riverlight” è diviso in due set: la prima parte “Sundark” raccoglie i brani più ombrosi e solitari, mentre in “Riverlight” troviamo i brani più gioviali ed allegri. Nel complesso la traduzione in acustico del repertorio di Patrick Wolf ha castigato i pezzi più movimentati e con maggior apporto di elettronica, come ad esempio “The Libertine”, e dall’altro ha fatto risaltare i brani con già  in origine un buon arrangiamento camber-pop, come ad esempio “Overture”. Il risultato generale è dunque altalenante, molto dipende dallo stato dell’arte dei brani originali, perchè Patrick con “Sundark & Silverlight” non si è prodigato nel reinterpretare i propri brani ma, come già  detto, si è limitato a tradurli. Ha rimosso quello che riteneva irrilevante, ovvero tutta la sezione elettronica, coprendo i buchi generati da tale espianto con la sola sezione d’archi e piano, ritenendo superfluo un nuovo arrangiamento ad hoc. Tale operazione ha lasciato inalterata la bellezza di brani con un buon impianto melodico, come ad esempio “Teignmouth”, ma ha dato il colpo di grazia a quei pezzi che si reggevano più sulla produzione che non sulla scrittura. Emblematico è il caso di “Vulture”- ma generalmente i brani tratti da “The Bachelor” sono quelli che ne escono peggio – in origine un aggressivo brano elettro-pop proposto in una versione voce e piano eccessivamente verbosa e patetica. Sopravvissuti a questo olocausto sonoro sono i brani tratti da “Lupercalia”, in modo particolare “Together” in cui il rinnovato menestrello ha ritenuto opportuno reinterpretare lo stucchevole synth-pop dell’originale in una chiave deliziosamente gipsy.

“Sundark & Riverlight” sottolinea ancora una volta il punto di vista di Patrick Wolf sull’art pop, visto come una sorta di dolce fragola e panna, con la sezione chamber a costituire il pan di spagna e quella elettronica a rappresentare la guarnizione. Una visione stratificata, per nulla organica, che alla resa dei conti mostra le sue prime crepe. Imbolsito prima del tempo, Patrick Wolf impugna a fatica archi e piano; “Sundark & Riverlight” è un best of non all’altezza del proprio creatore, qui fuori forma e rattristito, che cerca di dimenticare una brutta giornata, richiudendosi nella propria camera a ricordare i tempi passati strimpellando sul proprio violino. In attesa di una risurrezione artistica, “Sundark & Riverlight” è una produzione destinata esclusivamente ai fan.