Brasstronaut
Mean Sun

Canada. Canada. Canada.

Canada. Nuova El Dorado della musica, una sorta di Nashville moderna, più grande e più fredda. Incredibile quante band provenienti da lì siano salite alla ribalta negli ultimi anni: solo per citarne alcune Broken Social Scene, New Pornographers, Fucked Up, Wolf Parade, Sunset Rubdown, oltre ovviamente agli Arcade Fire. Pop, rock, folk, hardcore, mancava però un po’ di jazz all’appello. Ecco allora i Brasstronaut , che in fondo suonano art-pop, pop di qualità  si intende, con venature qua e là  chamber, elettroniche e, appunto, jazzate.

“Mean Sun”, secondo album della band di base a Vancouver dopo “Mount Chimera” del 2010, è un gioiello di raffinatezza ed equilibrio, in cui cesellature melodiche e ritmico-strumentali costruiscono un mosaico di bellezza rara.
La scena musicale canadese è ben nota per il suo sfoggio di strumenti più vari e disparati: “Bounce” introduce che meglio non si potrebbe, al suono di solenni trombe l’atmosfera contemplativa che permea l’album fino alla fine, la simil-filastrocca Fleet foxes/Bon Iver “Revelstoke Dam” vede l’apporto anche di un flauto in un crescendo folk-jazz che è tra le cose più convincenti dell’opera. Dopo aver alzato un tantino il ritmo nell’euforico finale di “Falklands”, si ritorna alle languide armonie di “Mixtape”, col suo splendido intermezzo di piano.

Tutto questo popo’ di coacervo strumentistico si sposa egregiamente con la voce di Edo Van Breeman, che nella title-track gioca a fare il Thom Yorke, non vive di protagonismi ma suona sempre intimista e sincera, raggiungendo il suo apice probabilmente nella spacey-ballad “Moonwalker”.
Pare proprio non esserci nulla fuori posto qui: date qualche ascolto a questi ragazzi e i vostri sensi vi ringrazieranno.

Canada, ti prometto che se mai vorrò diventare musicista, mi trasferirò da te.