La prima cosa che ho fatto nel prepararmi alla recensione del disco dei Goat è stata sincerarmi su wikipedia dell’esistenza di Korpilombolo, minuscola località  del nord della Svezia che, almeno fino al 2005, contava solo 548 abitanti. Dubito fortemente che a distanza di qualche anno possa aver avuto una sua espansione territoriale. Allo stesso modo dubito fortemente che la storia che i Goat vogliono raccontarci sia vera. Millantano un’esistenza radicata lontana negli anni, praticamente una tradizione che si è tramandata di generazione in generazione. La leggenda vuole che gli abitanti di questa oscura frazione del profondo nord si dedichassero a rito voodoo e che, una volta scoperti dalla chiesa, sarebbero stati condannati al pubblico rogo. Una volta morti, avrebbero gettato una maledizione che ad oggi rivive ancora nelle loro canzoni. Un grande delirio psichedelico voluto forse per arricchire di mistero un disco che è già  di per sè una bomba ad orologeria scoppiata all’improvviso.

Dimenticatevi le melodie zuccherose che ci hanno impastato le mani negli ultimi anni di indiepop scandinavo. Toglietevi dalla testa anche a la tradizione metal di quelle latitudini, qui del nord non c’è niente, questi malati di mente hanno ficcato nel frullatore la psichedelia urticante dei Black Angels e l’afrobeat di Fela Kuti ed affini, cacciando dal cilindro un bellissimo ibrido di musica atemporale. Un lavoro in cui piovono in ogni istante mille riferimenti a tradizioni lontane, che avrebbe potuto vedere la luce nella tradizione più acida e black degli anni ’70, fatta di video sgranati e luci stroboscopiche avvolte in ritmi per i quali è impossibile restare con il culo attaccato alla sedia. La vera follia è averlo pubblicato oggi, anche se si respira un po’ di attitudine paracula, non tanto per le leggende raccontate, quanto proprio per una scelta stilista che compiace certo revival afrobeat degli ultimi anni.

Al netto dei piccoli dubbi e delle chiacchiere da favola dell’orrore, “World Music” è un grandissimo disco, capace di ammaliare con ritmi irresistibili e una pioggia abbondante di lapilli psichedelici capaci di bruciare i capelli. Un viaggio per il corpo e la mente in una dimensione onirica e fuori tempo massimo. Di una bellezza quasi senza senso.