Guardami. Sono bella? No. Ma ho amato. Guardami. Sono giovane? No. Ma ho amato. Guardami. Sono viva? No. Ma ho amato.

In questo breve passaggio tratto da “Gertrud”, ultimo film prodotto e diretto dal grande regista danese Carl Theodor Dreyer, famoso per la sua essenzialità  visiva, per il suo realismo scarno, si ritrova in maniera chiara ed inequivocabile il forte e sostanziale richiamo al potere dell’amore. Sentimento profondo, vissuto e agito con austerità  spirituale, nella produzione cinematografica di Dreyer e che lo accomuna alla giovane e raffinata musicista contemporanea, sua conterranea, Agnes Obel. Pianista e compositrice classica, prestata da qualche anno al mondo indie-alternative, grazie alla leggiadria pianistica, alla profonda ispirazione e al potente tocco creativo la giovane Agnes è riuscita ad imporsi a livello internazionale con il suo primo lavoro “Philharmonics” (Play It Again Sam, 2010) , disco austero, puro e toccante fatto di una melancholia penetrante dove il suono del pianoforte e il timbro caldo e soave della sua voce si fondono in un mix armonico unico.

Il disco, vincitore di riconoscimenti in tutto il mondo, è stato accompagnato da un luongo tour mondiale, ed è proprio durante questo tour che la Obel ha iniziato a pensare ad un nuovo progetto. Rientrata a Berlino, città  dove si è ormai trasferita dal 2006, Agnes si è chiusa in sala di incisione cercando di dare forma e sostanza alle sue ispirazioni e tra gennaio e maggio di quest’anno è riuscita a dare un’immagine concreta al suo nuovo lavoro “Aventine” (Play It Again Sam, 2013). Completamente registrato presso i Chalk Wood Studios di Berlino e prodotto dalla stessa Obel il disco vede la partecipazione di alcuni artisti e strumentisti famosi della scena alternative: da Anne Mà¼ller (violoncello) collaboratrice tra l’altro di Nils Frahm, a Mika Posen (viola e violino) dei Timber Timbre, a Robert Kondorossi (chitarra) dei Budzillus e Gillian Fleetwood (cornamusa). Concentrata sulla composizione, sul canto e sulle note del suo inseparabile piano, Agnes ha dato vita ad un nuovo lavoro dalla forte ispirazione decadente, intimista sin dalla registrazione, fatta in uno spazio ridotto dove tutti gli strumenti, suonando all’unisono, riuscivano a riprodurre armonie uniche generate dalle interferenze creative delle loro stesse vibrazioni. Un suono più ricco e complesso, ma anche oscuro e maturo, rispetto a Philharmonics, generato dalla compresenza di pianoforte, archi, chitarra e da un pizzico di elettronica, un tocco di sapidità  ulteriore alle composizioni sulle quali i testi e la voce della Obel ricamano atmosfere sfumate fatte di romantici paesaggi onirici, unici e vibranti.

Anticipato dal video del singolo “The Curse”, girato interamente in un secco e disarmante color seppia dal giovane regista Alex Brà¼el Flagstad, “Aventine” ci regala undici gemme rare annodate assieme dalla voce unica, incisiva e penetrante della Obel che si staglia rigorosa sulle note del suo pianoforte. Ed è proprio il piano ad aprire il disco in uno dei tre pezzi interamente strumentali “Chord Left”: poco più di due minuti di assolo, raffinato ed elegiaco, che riporta alla mente componimenti classici alla Satie ci introducono nel corpus del disco. E’ così che “Fuel To Fire”, sin dalle prime note, mostra la crescita e l’evoluzione nel suono della Obel: cori, archi, chitarra e voce si miscelano dando vita ad una pozione magica che ci trascina lontani. “Dorian” con l’ingresso dell’elettronica, delle percussioni e di una tenue drum-machine rende ancora più evidente la nuova rotta sonica del disco mentre la title track “Aventine” ci riporta verso territori irlandesi alla Enya.

“Run Cried the Crawling” è forse la più lynchiana di tutto il disco facendo riemergere ricordi alla Julee Cruise. “Tokka” è l’intermezzo interamente pianistico che riallinea invece il focus sulle doti classiche di Agnes mentre “The Curse” mostra tutta la sua fascinazione entropica con viola e violoncello in primo piano accordati con la sinuosa voce della Obel. Ancora citazioni folk di matrice celtica in “Pass Them By” mentre fumose atmosfere avvolgono il canto in “Words are Dead” dove il pianoforte è il solo strumento ad accompagnare Agnes. “Aventine” si conclude con “Fivefold” fatta di violini sognanti su un tappeto sommesso di piano e “Smoke and Mirrors” la più intima e personale di tutto il disco dalla quale riemergono, in modo inequivocabile, l’ispirazione e la tensione emotiva di Agnes Obel oramai sola con il suo amato pianoforte e le sue emozioni in note.