Il pop indigeno dei tedeschi Brideshead continua a fare breccia tra adolescenti di fatto e “adolescent” sui trenta con la syndrome di “Peter Pan”, un alibi sonoro che per quest’ultimi è poi manna incontestabile di “fermo crescita”, nonchè farcitura ghiotta per stacchetti e gingle da palinsesti radiofonici. Never grow up è il nuovo e terzo disco, una leggera bulimia di tracce (14) che, sebbene il distacco da certe temperanze lo-fi degli inizi, rimangono comunque simbolo di quel pop col broncio, rattristato e sognante ma che tanto piace ai loro fan, ai loro diffusori di armonie filo-teen.

I colori di una gioventù aperta ed infinita ci sono tutti, ritmi sbarazzini idem, quella leggerezza (mai stupida) come collante integra e dulcis in fundo quell’espressività  prettamente da college sono i caratteri fondamentali di questa formazione di Wiesbaden vicino al Reno, una band che tra certi The Lodger e taluni Kings Of Convenience imbastisce un sound “compagnone”, una musica amica a cui puoi confidare tutto e sognarci sopra come dentro una sit-com televisiva.

Lo shake di “The mermeid”, “If I sing for you”, “Little promise”, l’uggiosità  che scorre in “Love in june”, la wave di lontani Cure “Me and the stars and the sea” o l’hit da juke-box “Love & happiness” dimensionano la “gittata stilistica” dei Brideshead proiettandone a raggiera l’humor vincente.