L’omonimo debutto dei londinesi INHEAVEN è composto in buona parte da brani già  pubblicati come singoli nel corso degli ultimi due anni. Un semplice segno dei tempi – in un’epoca in cui le persone che ascoltano per intero un album sono una specie in via di estinzione, per non parlare di chi ancora ci spende i soldi per acquistarli ““ o un modo come un altro per pubblicizzare una band con poca gavetta alle spalle? Sta di fatto che il giovane quartetto indie rock arriva alla prima prova sulla lunga distanza circondato (almeno in patria) da un clamore e un entusiasmo alquanto insoliti per un gruppo di esordienti.

Gli INHEAVEN probabilmente non saranno gli ennesimi salvatori del rock “‘n’ roll come indicato da una parte della sempre troppo precipitosa critica d’oltremanica, ma sono senza dubbio una novità  degna di essere presa in considerazione. In quaranta minuti scarsi dimostrano di avere grinta e ambizioni da grandi; quello che manca, almeno per adesso, è la giusta dose di personalità  e originalità . Il lavoro ““ come accennato a inizio recensione – è una raccolta di canzoni scritte e registrate in un arco di tempo abbastanza lungo; più che un vero e proprio album di debutto, quindi, è da considerarsi come una sorta di antipasto di quello che verrà . Le dodici tracce sono degli “stuzzichini” nei quali gli INHEAVEN cercano di dimostrare di essere a loro agio con una moltitudine di stili e generi differenti, convincendo davvero solo in alcuni passaggi. Ce n’è per tutti: si va dal rock anthemico di “Baby’s Alright” e della springsteeniana “Stupid Things” al grunge finto ribelle di “Treats” e “World On Fire”, passando per il punk nervoso ma senza mordente di “Vultures”, la delicatezza dream pop di “Drift”, “Do You Dream” e “Velvet” e il non troppo velato omaggio ai The Who di “Baba O’Riley” di “Bitter Town”. Le cose sembrano girare meglio quando la band non si allontana troppo da casa propria: brani come “All There Is”, “Real Love” e “Regeneration” sono un buon esempio di brit rock di chiara matrice nineties, ma moderno e fresco quanto basta da non suonare troppo nostalgico o già  sentito.

In questo debutto uscito quasi a puntate, gli INHEAVEN pescano dal calderone del grunge e dell’indie rock degli ultimi venticinque anni per confezionare dodici tracce godibili ma mai davvero originali, a volte sull’orlo del dozzinale. Qualche traccia sparsa qua e là  fa sperare in un futuro più interessante, ma per ora il quartetto londinese fatica a lasciare il segno.