Quando Johan “Goatspeed” Snell aveva abbandonato i Beastmilk qualcosa si era rotto. Non solo la formazione aveva cambiato nome in Grave Pleasures, ma il primo frutto di questa nuova band, “Dreamcrash”, non mi pareva assolutamente all’altezza di quel capolavoro che era stato “Climax”, opera sublime in cui pulsioni gothic-rock e post-punk si fondevano e si sublimavano in uno spirito wave che ci lasciava con la pelle d’oca.

“Dreamcrash” era un onesto disco di rock gotico, ma senza guizzi e senza sorprese. La delusione era stata tanta. Ecco perchè ho seguito con poco interesse la nuova uscita del gruppo finlandese e, ammetto, mi sbagliavo, perchè questo nuovo album merita rispetto e attenzione, segnando una buona ripresa in fase compositiva. Gli anni ’80 morbosi e oscuri, quelli di Siouxsie and the Banshees, Bauhaus e Killing Joke vengono filtrati attraverso questa attitudine muscolosa e carica, che potenzia la resa sonora ma non fa perdere nulla della decadenza dei modelli iniziali. I temi stessi del disco poi sono, pure quelli, decisamente anni ’80 con l’olocausto nucleare che incombe drammatico su di noi, castigo ma anche fonte perversa di piacere.

Il timbro vocale di Mat “Kvhost” McNerney si sposta con disinvoltura da tonalità  che richiamano tanto Robert Smith quanto Ian Curtis, maestri di cerimonie ormai diventate icone. Kvhost non li imita, ma anzi, dimostra una versatilità  non indifferente, che si sposa con le pulsioni intense, rumorose e (giusto dirlo) anche melodiche (i ritornelli sono molto incisivi) del sound della sua band che, in questa seconda prova, ritrova personalità  ed è capace di trasmettere una vera tensione all’ascoltatore. Colpi ben assestati quindi in un disco potente che però non dimentica la sua anima più nera e cupa: trovare l’equilibrio poteva non essere facile, ma i Grave Pleasures questa volta non sbagliano.