Quando penso alla Scozia, penso a tante band che mi hanno lasciato qualcosa di particolare: penso ai Primal Scream, ai Teenage Fanclub, ai Mogwai, per tacere di altri pezzi da 90.

Avvicinatomi, con ritardo, agli Holy Esque,  ammetto che l’asticella delle aspettative non era altissima, ma sicuramente sfidante, e con questo spirito  li ho affrontati.

Il  primo “At Hope’s Ravine” è onestamente un lavoro dal suono  curato, dall’aura leggendaria, con continui richiami e rimandi a grandi band “scure”  del passato (Ozzy Osbourne, Cure, Joy Division, Smashing Pumpkins, …); di converso, diverse cose non mi hanno convinto: originalità  prossima allo zero, sin troppa omogeneità  tra i pezzi, la voce di Pat Hynes che più che vibrante pare ( forzatamente, per giunta) tremolante,  un’abilità  strumentale senza particolari valori aggiunti, la mancanza di un pezzo-inno  di riferimento che pareva necessario per come impostato l’album, una composizione dei testi dal peso specifico abbastanza debole e comunque troppo pop per essere grigia e tragica come probabilmente nelle loro intenzioni.

Questo nuovo “Television/Sweet” dei ragazzi di Glasgow ha accenti più industriali e criptici, un uso abbondante (ma, diciamocelo, molto poco variegato) di tastiere e synth,  la voce di Hynes è ancora tremula ma, cercando  però di spaziare tra più stili e tonalità , gli va comunque riconosciuta una peculiare timbrica che lo rende ben riconoscibile, ed i testi hanno a loro volta caratteri più profondi e personali.

La ricerca di atmosfere cupe e post punk è ancora il fil rouge di tutta l’opera, con deviazioni dagli accenti più new wave anni ’80 (  “He, Spectral Electra”,”House of   Hounds” o  “Modern Tones” con i loro improvvisi cambi di ritmo e spartito), così come l’impostazione tesa a dare intensità  a tutto il lavoro (il singolo di lancio “I Am The Truth” ne è fulgido esempio): quello che manca, piuttosto e purtroppo, è un sostanziale spessore che dovrebbe invece, se non immediatamente, costruirsi in itinere e dare un senso fondato a tutta la composizione, con  il rischio  invece di far lasciare nel dimenticatoio quest’album con la stessa velocità  con cui è stato positivamente accolto  il richiamato primo “At Hope’s Ravine”.

Ad maiora