Conosco Michele Nicoli da molti anni. Il fatto che mi chiami “maestro” ha poca importanza, ma mi fa sempre sorridere, anche perchè, fra i due, il maestro vero è lui, visto che un talento musicale come il suo merita quell’epiteto. Sta di fatto che Michele Nicoli ha fatto parte per anni della storia dei Canadians, tornati da poco con l’album “Mitch” dopo anni di silenzio. Ho pensato che far scrivere una recensione a Michele sarebbe stato un bel colpo giornalistico, diciamo così, ma in realtà  il colpo vero lo ha fatto (ancora una volta) lui, scrivendo una vera e propria lettera con il cuore in mano, che è nello stesso tempo “confessione e recensione”. Mi è arrivata e la pubblico così, senza filtri o rimaneggiamenti. Perchè è bellissima e vera. Come Michele.

“Ho lasciato la band durante la fase di creazione, tempismo da miglior amico verrebbe da dire.

Vero che ho dato ai tre superstiti la possibilità  di suonare ovunque fossi parcheggiato con lo studio, ma la storia della piscina non è del tutto vera. I Canadians quella non la vedono da anni, ma sicuramente la sognano o ricordano spesso, è quello che mi auguro.

Vero anche che ho guidato poco durante i tour, però ho sempre caricato e scaricato”…per forza, andata e ritorno da Cellore, a venticinque chilometri da qualsiasi cosa. Ma soprattutto, ho sempre cercato di creare una base chiamata “‘Casa’. Ci siamo riusciti insieme.

Il disco, loro, l’hanno portato avanti malgrado milioni di vicissitudini, ora è pure uscito, lo ascolto mentre scrivo e”….e niente!

Mi è stato chiesto di fare una recensione, libera, anche di parte, ma niente, non ci riesco, non posso “‘recensire’ qualcosa che ho suonato e poi abbandonato. Come posso “‘commentare’ un disco che porta il mio nome, che fa affiorare tutto il tempo (tantissimo tempo) passato insieme tra risate, viaggi e bagni?

La leggenda sul titolo è vera, è il mio soprannome, il peggiore fra quelli che mi siano stati dati, solo loro mi chiamavano così, pensavo fosse finita o comunque limitata la faccendae invece, la persecuzione prosegue. Grazie, è un gesto incredibile, ero incredulo e commosso alla notizia, più commosso forse.

Non starò neppure qui a snocciolare parole sulle canzoni che stanno scorrendo una dietro l’altra, mi cerco, non mi trovo e”…e spero vi basti questo. Il disco è bello, maturo ma fresco, è semplice e diretto, è intimo e profondo, morbido, ma non mancano la spinta ele distorsioni che hanno caratterizzato il sound della band. Big Muff a manetta, batteria metronimica, armonie che arrivano allo stomaco.

Basta e avanza.

Ora posso dire che avrei voluto esserci pure io, ci sono brani che mi esaltano e altri meno, ma ci sono pure i brani che fanno fermare tutto quello che ho intorno, ci sono solo io, loro e la pelle d’oca.

Sono solo 25 km da qualsiasi cosa.”