I maestri sono coloro in grado di ispirarci, diceva Socrate, cioè quelli che non snaturano l’essenza dei propri discepoli, ma che li invitano ad essere liberi e ad oltrepassare i limiti che gli vengono imposti. Il buon senso e la virtù sono, per loro natura, statici, noiosi ed ampiamente prevedibili; i vizi, invece, soprattutto quelli belli e positivi, evolvono e mutano continuamente forma; rappresentano uno stimolo per mettersi sempre in gioco, migliorarsi ed investire le proprie energie in ciò che amiamo e che ci fa stare bene.

Chissà  se Robert Johnson incontrò davvero il diavolo in quel fatidico incrocio, oppure, più semplicemente, non fece altro che guardare dentro di sè, nei meandri più oscuri e remoti della sua anima, e decise, alla fine, di seguire solo i propri istinti, fregandosene di come li avrebbero etichettati le persone “normali”, appesantite dai loro luoghi comuni e dalle maschere con cui continuano ad andare in giro per questo mondo.

Elli De Mon, al secolo Elisa De Munari, non ama le mezze misure; “the storm is coming“, dunque è meglio tenere la testa alta e accettare ed affrontare la tempesta. Il suo blues viene da lontano; fuoriesce dalle crepe del cuore come un magma incandescente in grado di travolgere tutto ciò che incontra sul suo cammino; non per distruggere, bensì per dare nuova forma e nuova sostanza sonora alle sue emozioni ed al soffio della sua anima inquieta. Il gospel e la spiritualità  delle comunità  afro-americane degli stati del Sud, il blues che affonda le sue radici negli antichi canti di lavoro degli schiavi di colore nei campi di cotone, il punk esplosivo delle periferie suburbane, le sonorità  indiane, le atmosfere oniriche e suadenti del “White Album”, il rumore dei battelli a vapore in bilico nello sciabordio delle onde, vengono de-assemblati e ri-assemblati, alla luce della sensibilità  artistica ed umana di Elli, per dare vita ad una creatura blues-punk nuova e viscerale, in cui i grandi spazi d’America abbracciano le grigie periferie metropolitane, i profumi dell’India investono le Prealpi vicentine e per una piacevole notte di primavera anche il Godot Art Bistrot.

Elli si diverte con le sue chitarre, fa sì che le loro corde scaldino il pubblico, mentre i suoi sonagli sembrano quasi volerci indicare la strada che dobbiamo seguire per poter ritrovare noi stessi; dovremmo prenderci cura maggiormente di noi, di ciò che fa la differenza, senza aver paura di fare i conti con le nostre colpe: “Louise, why don’t you care for yourself / this is a shame tell me / who’s to blame?“. E mentre le note del sitar ci trasportano verso luoghi misteriosi ed incominati, veniamo tutti risucchiati al centro della piccola stanza, assieme a George Washington Phillips, perchè, in fondo, come diceva questo predicatore-artista, la cosa migliore è stare assieme, quella peggiore è ostinarsi a restare in disparte. Ed in tempi, come quelli attuali, in cui le persone vivono la diversità  e la convivenza con paura e rabbia, queste parole, accompagnate dalla chitarra di Elli De Mon, non possono che farci bene e rendere più luminoso il nostro cammino.