I Big Thief sono arrivati alla svolta. Il loro terzo LP ha già  un posto assicurato ai piani alti delle liste di fine anno di qualsiasi sito musicale ed è uno dei dischi che ha generato più interesse finora nel 2019.
Eppure per me “U.F.O.F.” è il loro lavoro meno riuscito.

Se prima la band di Brooklyn sembrava avere chiara la propria personalità  e la propria direzione, qui incappa in una crisi d’identità  che lascia interdetto l’ascoltatore.
Adrianne Lenker modella la sua voce in modo completamente diverso quasi per ogni singola canzone e la conseguenza è una mancanza di credibilità , soprattutto ripensando alle sue performance passate dove la vulnerabilità  e la verità  erano uno dei punti di forza principali.
Si sentono i Cocteau Twins, i Blonde Redhead, Joni Mitchell, ma non si sentono i Big Thief. Se l’obiettivo era assomigliare a qualcun’altra mancano astio, sensualità  e convinzione.

L’opener “Contact” è il momento più interessante del disco soprattutto nel breakdown finale tra urla e grunge. Anche la seconda traccia, che dà  il titolo al disco, prosegue bene.
Da lì in poi parte una sfilza di canzoni che passano senza lasciare il segno e, a volte, addirittura annoiano.
L’unico altro sussulto è “Jenni” dove si tornano a sentire almeno in parte le viscere del gruppo.

In “Masterpiece” e “Capacity”, i loro primi due album, i Big Thief invitavano a un ascolto attento e ripetuto. In alcuni casi si arrivava a cantare a squarciagola i loro pezzi.
Con “U.F.O.F.” questo non succede, non ci sono canzoni che rimangono impresse nè per facilità  d’ascolto nè per coinvolgimento emotivo. è un lavoro senza mordente che non spicca nemmeno per l’atmosfera creata ed è un peccato.

Credit Foto: Michael Buishas