I Guards sono tornati.
“Modern Hymns” è il loro nuovo disco, concepito a Los Angeles e uscito a più di cinque anni di distanza dall’esordio di “In Guards We Trust” (2013).
Più infarcite di synth e sonorità  disco rispetto a quello a cui ci avevano abituati, le undici tracce che compongono l’ultima fatica in studio di Richie James Follin (The Willowz, Cults, CRX e Foolin) e Loren Humphrey (batterista super richiesto, tra gli altri da Tame Impala, The Last Shadow Puppets e Florence + The Machine) cerca di scavare più a fondo nella vasta gamma delle emozioni umane, anche in virtù della paternità  di Foolin, arrivata proprio durante gli anni di incisione dell’album.
I musicisti ospiti sono poi di top level: da Mike Shuman (Queens of the Stone Age) a Patrick Keeler (Raconteurs, Greenhornes), passando per Money Mark (Beastie Boys), Benji Lysaght (Father John Misty, Beck), James Richardson (MGMT), Matt Schaeffer (Kendrick Lamar) e Brian Oblivion (Cults).

Nonostante tutte le buone, anzi ottime premesse, “Modern Hymns” però non è un disco indimenticabile. Certamente è un lavoro curato, ben costruito e piacevole all’ascolto – anche a più di uno-. Il ritmo del disco è certamente trascinante, che strizza decisamente l’occhio a MGMT ed Empire of The Sun, per fare un paio di nomi, ma – a differenza dei sovracitati – non riesce a convincere appieno. Anzi, a lungo andare risulta un po’ troppo costante, uguale a se stesso o ad altri.
“Modern Hymns” disegna un bel panorama sonoro ma troppo pianeggiante, tendenzialmente uniforme, dove si staglia all’orizzonte qualche canzone, prima tra tutte “Destroyer”.
Non certamente una delusione, ma forse un mancato sorprendente ritorno.