Sul finire dell’estate del 2004 avvenne un piccolo miracolo. Pur essendo quasi totalmente privo di appeal commerciale “Medàºlla”, uno degli album più sperimentali e coraggiosi di Björk, riuscì a scalare le classifiche di mezzo mondo. In Italia arrivò fino al secondo posto; nel momento in cui scrivo, quella stessa posizione è occupata da “Colpa delle favole” di Ultimo. Inutile farsi prendere dallo sconforto: i tempi sono cambiati.

Ciò che resta sono i ricordi. Ricordi che, nel caso di questo disco, tornano a sfiorarci sotto forma di voci. Suoni vivi, prodotti impiegando esclusivamente quegli organi di fonazione di cui tutti noi siamo dotati. Così semplici, eppure così straordinari: il modo in cui l’artista islandese li intreccia tra loro per costruire melodie ed elementi ritmici ha del prodigioso. è incredibile pensare quanto abbia realizzato sfruttando solamente vibrazioni di aria emesse dalla laringe: in “Medàºlla” sospiri, sussurri, gorgheggi, ululati, urla, mugolii e persino miagolii formano sinfonie aliene dal fascino indescrivibile.

L’unica costante è la meraviglia: laddove non arrivano la qualità  e la consistenza stessa di alcune composizioni ““ un lavoro tanto ambizioso, d’altronde, non poteva essere perfetto ““ emerge un senso di stupore in grado di far passare in secondo piano qualsiasi tipo di difetto. Le tracce più suggestive dell’album, ovvero quelle in cui si avverte con particolare chiarezza l’influenza della musica sacra, del canto gregoriano e della tradizione nordica (“Vökuró”, “Submarine” e “Sonnets/ Unrealities XI”), fanno da contraltare all’elettronica “organica” di “Desired Constellation” e “Mouths Cradle”, nelle quali fanno la loro comparsa timide ombre di sintetizzatori.

I ringhi e i mugugni profondissimi di Mike Patton trascinano negli abissi il trip hop di “Pleasure Is All Mine” e “Where Is The Line”, mentre i maestri del beatboxing Rahzel e Dokaka trasformano il pop avanguardistico di “Who Is It (Carry My Joy on the Left, Carry My Pain on the Right)” e “Triumph of a Heart” in qualcosa di stranamente ballabile.

L’idea di futuro che traspare dai quattordici brani di “Medàºlla” non ha nulla di artificiale. Le tentazioni elettroniche di “Vespertine” non svaniscono, ma evolvono. Trasmutano nello strumento più primitivo, elementare e duttile a nostra disposizione: la voce. Una voce che tende a rendersi irriconoscibile, o che si riproduce migliaia e migliaia di volte, fino a diventare un muro di suoni potente e inscalfibile; ma che resta umana fino alla fine, espressiva e colma di emozioni.

Per farvi un’idea, vi consiglio di andare a riascoltare la straordinaria “Oceania”: tra i virtuosismi del London Choir e gli interventi di Robert Wyatt, Björk ci offre una delle sue interpretazioni più belle e intense. Basterebbe questo per ricordare in maniera positiva quello che in molti considerano un po’ ingiustamente un episodio minore della discografia della ex Sugarcubes, se non addirittura una ciofeca pretenziosa e inconcludente. Forse ce lo meritiamo Ultimo in classifica.

Björk ““ “Medàºlla”
Data di pubblicazione: 30 agosto 2004
Tracce:  14
Lunghezza: 45:40
Etichetta:  One Little Indian
Produttori: Björk, Mark Bell

Tracklist:
1. Pleasure Is All Mine
2.  Show Me Forgiveness
3. Where Is The Line
4.  Vökuró
5.  à–ll Birtan
6.  Who Is It (Carry My Joy on the Left, Carry My Pain on the Right)
7.  Submarine
8.  Desired Constellation
9. Oceania
10.  Sonnets/Unrealities XI
11.  Ancestors
12.  Mouth’s Cradle
13.  Mià°vikudags
14.  Triumph of a Heart