La talentuosa violoncellista scozzese ci regala, a distanza di “soli” quattordici anni dall’ultimo “Milkwhite sheets”, il suo nuovo lavoro da solista che racchiude le varie esperienze maturate in questi anni, a partire dal suo glorioso passato quale deus ex machina dei Belle and Sebastian, come paroliere e vocalist nei The Gentle Waves e da ultimo dalla collaborazione con un certo Mark Lanegan.
Registrato e prodotto a Los Angeles insieme al marito Chris Szczech, “There Is No Other” si compone di 13 tracce nelle quali la voce della Campbell trasmette vibrazioni ed emozioni dotate di una naturalezza quasi imbarazzante, adoperate senza sforzo alcuno e sorrette da arrangiamenti di qualità sopraffina e non comune.
Proprio alla città che l’ha adottata oramai da un po’ è dedicata l’opener “City of Angels” che si fa strada tra le corde vocali di Isobel come una deliziosa e avvolgente cantilena. I riverberi statunitensi proseguono in maniera sfacciata con la successiva cover di Tom Petty, “Runnin’ Down a Dream”, dove in questo caso i synth hanno sostituito i riff di chitarra.
Siamo di fronte ad un album variopinto il quale, sorretto dalla sua inconfondibile voce eterea, attraversa scenari abitati da indie-pop – come in “Ant life”e “Vultures” – folk-rock – come in “Rainbow” – senza dimenticare il suo amato dream-folk riproposto nel trittico finale in “Boulevard” (probabilmente, a parere di che scrive, il miglior brano del disco), “Counting Fireflies” e nella misteriosa closing track “Below Zero”; il tutto, sempre cavalcando l’onda della leggiadria e soavità che caratterizza le sue produzioni.
Di notevole fattura sono le sonorità a tinte gospel presenti in “The Heart of It All” e “Hey World”, oppure il mood sognante e orientaleggiante di “The National Bird of India” o, ancora, le timbriche psichedeliche che si odono in “Just For Today” e “See Your Face Again”.
Insomma, “There Is No Other” allieta e coinvolge ma lo fa trasmettendo pace e serenità con una Campbell in stato di grazia. L’album non annoia anche se il ritmo non sempre è travolgente. L’abilità sta proprio in questo in questo voler far sembrare tutto così semplice e genuino ma che in realtà non lo è affatto.
Per alcuni il disco è stato tacciato di voler essere troppo ambizioso e stucchevole quando in realtà si tratta solo della perfetta simbiosi tra l’artista scozzese e l’arte del saper egregiamente fare musica, quella più nobile, la più vera e poi, cosa c’è di male ad essere un fenomeno? Cosa fanno i fenomeni se non stupire?
La perfezione ha ben altre vesti e questo full-length non risulta pretenzioso ma ha “solo” il merito di essere semplicemente e fortunatamente venuto alla luce.
Credit Foto: Ashley Osborne