Mark Lanegan è tornato e lo ha fatto alla sua maniera. Probabilmente l’ultimo sopravvissuto all’era grunge della scena rock di Seattle degli anni ’90, dopo poco meno di un anno dalla pubblicazione del precedente “Somebody’s Knocking”, ha scelto di ritornare sulle scene raccontando la sua vita con tanto di official soundtrack al seguito. Già  perchè “Straight Songs Of Sorrow” lo si può definire come la trasposizione in versi e musica delle parole contenute nella sua autobiografia “Sing Backwards And Weep”, in pratica la genesi della creazione artistica di Lanegan tra la perdizione e la successiva e conquistata salvezza.

Dipendenza, violenza, povertà  sono solo una parte dei temi affrontati nel lacerante viaggio autobiografico di Mark, anzi Lanegan o William, come ha tenuto a precisare nel libro: “ho sempre preferito essere  chiamato  semplicemente con il mio cognome, Lanegan. Se mi presentassi a uno sconosciuto, userei sempre il mio secondo nome, William”.

Il viaggio della travagliata gioventù vissuta nella parte orientale di Washington, attraverso la sua esistenza costellata di eccessi, contenuto in “Sing Backwards And Weep” non fa altro che accompagnare con linguaggio onesto ma senza una briciola di vittimismo l’oscurità  di Lanegan nel dipanarsi delle quindici tracce introspettive di “Straight Songs Of Sorrow” le quali, rappresentano musicalmente una sintesi fra il Lanegan cantautore e le recenti influenze elettroniche che escono dal citato, non grandioso peraltro, “Somebody’s Knocking” del 2019. La tela tessuta che ne viene fuori risulta avvolgente per gran parte del disco ancorchè le sonorità  cupe a volte finiscono per prendere il sopravvento facendoci trasmigrare inesorabilmente in atmosfere tristi e malinconiche.

L’ex Screaming Trees ha voluto condividere questo viaggio coinvolgendo molti artisti che di fatto si sono resi complici di questo suo crudo racconto nelle montagne russe vissute in casa Lanegan tra i quali figurano l’amico di vecchia data Greg Dulli nonchè Warren Ellis dei Bad Seeds, Ed Harcourt, John Paul Jones dei Led Zeppelin, Mark Morton degli Lamb of God e Adrian Utley di Portishead.

In realtà , come è facile prevedere il nuovo lavoro da solista è stato architettato dal solo Lanegan con il solo aiuto dello storico produttore Alain Johannes e della moglie Shelley Brien la quale oltre a “giocare” amorevolmente duettando con Mark nella sdolcinata ballata “The Game Of Love”, appunto, ha contribuito alla scrittura di “Burying Ground” e della closing track “Eden Lost And Found”, una sperimentale gospel song dove Lanegan, alternandosi con Simon Bonney dei Crime & the City Solution, invoca speranza attraverso la purificazione della luce del giorno (“Daylight’s a comin'”) nelle parole “All God’s creatures ought to be free”.

Le recenti derive elettroniche si avvertono sin dalla cupa opener “I Wouldn’t Want To Say” dal sound incasinato e ossessivo sorretto da un mini-synth chiamato Organelle e proseguono anche nella spettacolare “Bleed all over” (la mia preferita) nella quale si riverbera riconoscibilissimo il tocco del maestro Dulli il quale presta la sua inconfondibile voce in “At Zero below” accompagnata dal violino incantato di impronta celtica di Warren Ellis.

Compito di spezzare l’apporto dei synth è affidato al lodevole fingerpicking della chitarra acustica fornita da Mark Morton dei Lamb Of God in “Apples From A Tree” nonchè   a “Hanging On (For DRC)” dedicata all’amico, altro sopravvissuto come lui, Dylan Carlson degli Earth, si quel Carlson che procurò il fucile, non conoscendo le reali intenzioni, con il quale Kurt Cobain si suicidò.

Altro contributo acustico si rinviene nel duetto con Wesley Eisold cantante dei Cold Cave nel blues della sofferente ballata “Ketamine”, spudoratamente ispirata alle droghe: “Yeah, Lord gave me some ketamine so I can feel alright/To hide my true dark nature and to keep it out of sight” ed anche nel meditativo blues macchiato di folk della bellissima e profonda “Stockholm City Blues” (“I promise someday”…soon I’m gonna change my luck”, “I paid for this pain, I’m runnin’ through my blood”).

Le atmosfere etere sospese di “Daylight In The Nocturnal House” sono tutte affidate ad Adrian Utley dei Portishead mentre Ed Harcourt e Jack Bates, figlio di Peter Hook, si occupano del soave mood di “Churchbells, Ghosts”, laddove invece in “Ballad of a dying rover” il grandissimo John Paul Jones dei Led Zeppelin fornisce il Mellotron.

I beat pulsanti e danzerecci di “Internal Hourglass Discussion” supplicano per avere i sette leggendari minuti di “Skeleton Key” (innominata title track: “I will sing to you a sweet, straight song of sorrow”) la quale definisce con vigore la strada della redenzione intrapresa: “I spent my life trying every way to die/Is it my fate to be the last one standing?” che conduce alla luce del giorno che sta arrivando (“Daylight’s a comin'” nella già  citata traccia di chiusura “Eden Lost And Found”).

“Straight Songs Of Sorrow” è un album fiero e speranzoso come il suo autore, proprio come le storie a lieto fine.

marco annunziata / CC BY