Quando si parla di Sondre Lerche, in mente vengono in risalto sempre le sue caratteristiche di songwriter sofisticato, capace di coniugare un certo pop d’autore con un “saccente minimalismo” che la sua musica racchiude, tra l’essere sognante e assennato.

Bene, tutto ciò quindi che l’enfant prodige di Bergen si porta dietro col suo background non si allontana da questo “Patience”, decima fatica in studio, ma aggiunge qualcosa in più. Terzo album di una trilogia iniziata nel 2014 con quel capolavoro “Please” e proseguita con l’ottimo “Pleasure” di tre anni fa, con “Patience” il cantautore norvegese predilige sonorità  ancora più placide contornate dall’influenza di diverse linee stilistiche senza che però nulla stoni con l’obiettivo al centro del progetto: il songwriting.

Il disco è stato anticipato da ben tre singoli, il primo dei quali “You Are Not Who I Thought I Was” è avvolto da uno spensierato alone di allegria di tipica impronta indie-pop che si contrappone alle melodie acustiche della delicata ballata “Why Would I Let You Go” mentre nell’ultimo singolo in ordine di rilascio, “That’s All There Is”, fanno ingresso i synth accompagnati dagli effetti vocali di Lerche che caratterizzano il brano con un sound dal pop malinconico.

L’antipasto è stato ricco, variegato e, quindi, non hanno stupito le note della title track scelta in apertura dove anche in questo caso sono i synth a fare da padrone su di un letto di backbeat mentre Sondre intona “Patience, i’m coming”.

Ed eccoci arrivati a questo lavoro che, dopo i cinque minuti dell’opener, prosegue con “I Love You Because It’s True” dal tenore decisamente differente. Un’altra bellissima ballata dal tono solenne e risoluto tra arpeggi di chitarra e corde del pianoforte a segnare la direzione.

La voce dell’artista nordico è davvero in stato di grazia ed è una piacevole esperienza ascoltarla soprattutto quando si destreggia in episodi sperimentali come nell’orchestrale “Put The Camera Down” o nelle finestre a tinte jazz dapprima in versione colta di altri tempi con “Why Did I Write The Book Of Love” e poi con la variante soul/r&b di “Don’t Waste Your Time” con tanto di finissimo handclap a scandire le note a metà  brano.

In realtà  i giochi non si esauriscono nei citati ottimi percorsi perchè c’è ancora spazio per completare questo capitolo con altrettanti prelibati arrangiamenti come quelli contenuti nella poppeggiante “I Can’t See Myself Without You” con riff di pianoforte ad evocare note alla Elton John e, soprattutto in “Are We Alone Now”, dall’atmosfera da camera, calda ed intima con il sax finale a sancire il miglior brano del disco.

La ricercatezza delle note di “My Love Is Hard To Explain”, tra archi e ottoni, hanno il compito di calare il sipario su una riuscita messa in scena di questo grande artista norvegese.

Credit Foto: Jen Steele