Don’t do to me what you did to America” ripetuto ossessivamente, ben sedici volte in dodici minuti e mezzo. Così avevamo ritrovato Sufjan Stevens nel singolo “America”, lui che l’ha percorsa e raccontata in lungo e in largo fin dai tempi di “Michigan” e “Illinois”. Qualche mese fa è uscito un po’ in sordina “Aporia”, disco tra elettronica e new age registrato da Stevens insieme a Lowell Brams, ma l’attesa era tutta per quest’album. L’ottavo, fortemente legato a quel “Carrie & Lowell” (qui la recensione) che tra lutto e ricordi ha cristallizzato definitivamente la poetica di Sufjan.

Staffetta difficile, testimone pesante da raccogliere perchè sono passati cinque anni, tempo trascorso tra collaborazioni e partecipazioni a colonne sonore (quella del premiatissimo “Chiamami Col Tuo Nome”) che hanno reso Sufjan Stevens un artista diverso. “The Ascension” non è quindi un “Carrie & Lowell” parte due, un sequel, un secondo tempo. Ben più stratificato, venato di elettronica rispetto a quel disco intimo e emozionante, parte subito col ritmo cadenzato e distorto di “Make Me An Offer I Cannot Refuse” in pieno stile “The Age of Adz“.

Niente storie, nessun personaggio, nessuna metafora come Sufjan Stevens ha rivelato di recente in un’intervista concessa a The Quietus. Melodie, armonie costruite con cura certosina che rivelano un’incredibile voglia di libertà  artistica e umana. “I don’t wanna be your personal Jesus / I don’t wanna live inside of that flame” intona Stevens su un letto di sintetizzatori ed è un po’ il manifesto di un album che rifiuta di adeguarsi alle aspettative altrui. Cambi di frequenza, crescendo continui, elettro pop multiforme allergico alle logiche commerciali con angoli e risvolti molto personali (“Ativan”, “Landslide”, “Sugar”, la title track).

“The Ascension” è complesso almeno quanto “Carrie & Lowell” era immediato e dolce, il paragone scontato è forse quello con il Justin Vernon / Bon Iver di “22, A Million” o col raffinato Perfume Genius (“Run Away With Me”, “Lamentations” e “Tell Me You Love Me” in particolare). Il Sufjan Stevens odierno è un artista indipendente nel vero senso della parola, capace di costruire cattedrali sonore che meritano rispetto.