Poco più di tre anni fa, quando arrivò nei negozi di dischi “To The Bone”, furono in tanti a gridare allo scandalo per la svolta pop di Steven Wilson. L’ultimo eroe del progressive rock, l’uomo dietro i remix in altissima definizione dei classici di Gentle Giant, King Crimson, Yes e Marillion, cedeva una volta per tutte al lato oscuro della forza. Per i fan della prima ora, un affronto insostenibile. La reazione di alcuni fu piena di sdegno: che oscenità ! L’ex Porcupine Tree abbandonava le nobili origini per fare il verso, nel caso dell’ultra-orecchiabile singolo “Permanating”, nientepopodimeno che ai maestri del ritornello pacchiano: gli ABBA.

Chi all’epoca interpretò ““ e continua a interpretare – un simile cambio di passo alla stregua di un tradimento forse non ha colto le vere caratteristiche del Wilson artista: la curiosità , l’estrema competenza e, last but non least, il desiderio di esplorare in maniera approfondita tutti i linguaggi musicali. Uno spirito avventuroso che, nel corso di più di tre decenni di carriera, gli ha permesso di mettersi alla prova con stili sempre differenti, passando dalle atmosfere rarefatte e spaziali di “The Sky Moves Sideways” all’energia hard rock/metal dell’amatissimo “In Absentia”. La verve “progressiva” di Steven Wilson, nonostante i proclami degli inconsolabili vedovi dei Porcupine Tree, non è mai evaporata. è un marchio indelebile su una pelle che muta. Ce lo dimostrano con chiarezza le nove tracce del nuovo “The Future Bites”: un lavoro destinato, ancora una volta, a far parlare di sè.

La rottura con il passato è definitiva: se nella maggior parte dei brani di “To The Bone”, infatti, i legami con la tradizione rock c’erano ed erano evidentissimi, qui scompaiono quasi del tutto. La chitarra elettrica occupa un ruolo assai marginale in un’opera pop tanto raffinata quanto intelligente, con la quale Wilson denuncia gli effetti nefasti delle dipendenze tecnologiche in una società  dei consumi in irreversibile declino. Con l’approccio colto di conosce a menadito la materia, il polistrumentista britannico non stravolge le strutture classiche della musica leggera ma le espande, in modo tale da riuscire a contenere tutti gli elementi sonori necessari per immergere l’ascoltatore in un mondo freddo, buio, desolante ma non per questo privo di ironia o vitalità .

Una produzione cristallina dona al pop sintetico e progressive di “The Future Bites” un fascino unico, a metà  strada tra l’ultra-moderno e l’antico. Dal punto di vista creativo, Steven Wilson è in stato di grazia: il piatto è ricco e gli ingredienti, seppur non freschissimi, vengono mischiati con originalità . Tra le trame funkeggianti di “Self” ed “Eminent Sleaze” è possibile individuare le ombre dell’industrial, il groove della disco music, i cori imponenti del soul e persino i lussureggianti arrangiamenti orchestrali del Philadelphia sound.

Il soft rock acustico di “12 Things I Forgot” e il languido synthpop di “King Ghost” faranno storcere il naso di molti seguaci della prima ora, ancora incapaci di accettare il fatto che il loro ex idolo aspiri alla heavy rotation sulle emittenti radiofoniche commerciali. A loro mi sento di consigliare una “Man Of The People” che, in alcuni passaggi, cita con sfrontatezza i Pink Floyd di “Welcome To The Machine”. Le cadenze ritmiche regolari ma nervose della ruvida “Follower” sembrano essere prese in prestito dal post-punk figlio del David Bowie berlinese; un senso di agitazione che entra in contrasto diretto con la conclusiva “Count Of Unease”, una pacata ballad elettronica che cresce di intensità  sulle ali di sintetizzatori quanto mai caldi e avvolgenti.

Sarebbe la traccia migliore dell’album, se all’appello fosse mancata l’epica “Personal Shopper”: un avvincente viaggio di dieci minuti lungo i sentieri più tenebrosi del dance rock, stretta nella morsa della tensione nonostante il rassicurante falsetto di Wilson e la voce narrante dell’ospite di lusso ““ sir Elton John – nel bridge. Inutile continuare a dilungarsi nelle descrizioni: “The Future Bites” non delude le aspettative e conferma per l’ennesima volta lo status di artista di Serie A dell’ex Porcupine Tree, ormai perfettamente a suo agio in un ambiente lontano anni luce dal progressive rock.

Credit foto: Lasse Hoile