Di Mike, oramai, ne abbiamo parlato e straparlato.

Protagonista a più riprese dei nostri bollettini del weekend, Mike è uno che di strada ne ha fatto, pur senza portare nel cuore l’attitudine del “cantiere aperto” di provincia: tante canzoni per la testa, un sacco di parole da spendere bene e l’urgenza di un contenuto che non si faccia imbrigliare in connotazioni definitorie, e definitive.

Questo sembra essere la tempra che accomuna la produzione del cantautore lombardo, che in “Arancio” (e la scelta del titolo dell’EP dà  al tutto il retrogusto dolce della confessione a cuore aperto) sfodera una prepotente versatilità  musicale resa al servizio di una scrittura identitaria, mai banale e sempre puntuale nel confermare la propria coerenza a sè stessa, pur cambiando vestiti e forme.

Insomma, Mike è uno dei “puri” e merita di essere scoperto da chi ancora non lo ha fatto. Per agevolarvi la cosa, ci siamo fatti raccontare da lui qualche retroscena sul suo ultimo lavoro discografico.

“Arancio” è il tuo nuovo EP. Il lavoro racchiude cinque brani. Raccontaci una curiosità  che riguarda queste canzoni.
Ciao alle amiche e agli amici di Indie For Bunnies. Ad un certo punto, mentre cercavo di scrivere queste canzoni, per qualche giorno ho scritto delle liste di parole, una ventina al giorno. C’erano molte parole ricorrenti, e da lì ho capito di cosa volevo parlare. In generale scrivo molto, le canzoni sono dei dialoghi interiori che mi annoto e da cui poi prendo spunto, una specie di recinto mentale per mettere ordine nella mia testa. Non so se è curioso, ma mi sembrava interessante da dire.

Di “Arancio” ci ha colpiti il contrasto tra le tematiche, impegnate e sempre intelligenti, e il sound “soft” delle composizioni. Come sei arrivato a questo equilibrio perfetto?
Grazie, è un bel complimento. Volevo inserire dei testi, come dici tu, anche impegnati ma che come stile di scrittura si avvicinassero  il più possibile al colloquiale. Mi piacciono le canzoni che parlano come nella vita di tutti i giorni. Allo stesso tempo ero molto attratto dal comporre qualcosa di più morbido dal punto di vista delle sonorità , e mi sono messo ad ascoltare tanta musica italiana anni ’60. Sono sempre stato affascinato da quelle sonorità , addirittura in questo mio trip ho  ritirato un organo GEM originale che stavano per buttare per suonarlo in sala prove.

C’è sicuramente tanto cantautorato nelle tue reference. Chi sono i grandi cantautori che più ti ispirano?
Lucio Battisti tra i cantautori italiani è quello che mi ha accompagnato  di più, non c’è dubbio. Sin da piccolo è quello che mi ricordo di ascoltare da sempre. Però devo dire che i cantautori li ho scoperti tardi. Ho sempre ascoltato punk rock e gli Offspring sono una delle mie band preferite e che ascolto tutt’ora. Di italiano, sono  un grande fan dei Tre Allegri Ragazzi Morti, loro da sempre influenzano il mio modo di fare musica, hanno fotografato  tanti momenti importanti della mia vita. Poi come ti scrivevo sopra per questo disco ho ascoltato tanti anni ’60: i Rokes, i Giganti, Equipe 84, Tenco, Endrigo, tra tutti gli altri.

Nel 2020 sei stato finalista di Sanremo Rock. Che ricordi conservi di quell’esperienza?
Prima di tutto mi porto dietro un’esperienza importante da molti punti di vista. Suonare sul palco dell’Ariston non è una cosa che capita tutti i giorni, e ci siamo goduti il momento, è stato molto divertente. Soprattutto però quello che mi sono portato a casa è un bel momento che ho condiviso con degli amici, la band con cui suono. A Sanremo c’erano solo il batterista, Giangiorgio Giallo, e il bassista, Simone Mazzola, e mi ha tranquillizzato molto averli lì con me. Mancavano il chitarrista, Alberto Ubbiali, e il tastierista, Dario Sorano, che erano con noi con il cuore, ma che non sono riusciti a venire per problemi di lavoro. Credo di aver avuto in quell’occasione la dimostrazione pratica che se si condivide la propria passione, se si trovano le persone con cui condividerla, è tutto ancora più bello

In un ideologico trittico artistico, abbina un libro e un film al tuo “Arancio”
Wow, che domanda complicata. Il film che è più affine alla visione di questo disco credo sia “Clerks”, per il concetto base che è quello di raccontare gli incroci tra le storie di alcune persone nella vita quotidiana. Per quanto riguarda il libro, per cercare le parole giuste ammetto che ho riletto qualche favola di Gianni Rodari, è bello come riesce a dire cose difficili con parole semplici. Spero di non aver fatto paragoni assurdi e di non avere chiuso questa intervista con una bestialità . Grazie Indie For Bunnies, alla prossima.

Listen & Follow
Mike Orange: Instagram