Grazie a Dio la storia dei Ride non si è chiusa con questo disastro. La band di Oxford è tornata in pista ed è quindi riuscita a dare una continuità  a una carriera che non si poteva fermare con questo naufragio musicale. Con il tempo la critica ha ammorbidito il suo giudizio sull’album e si legge, in qualche commento, anche la parola mediocre: non sono assolutamente d’accordo. Il disco è un vero e proprio tracollo, lontano dallo shoegaze (e quello era già  accaduto con il lavoro precedente) ma pure da buoni esempi (e ce n’erano!) del britpop imperante, modello che, purtroppo, i Ride si erano messi ad osservare (inseguire mi pare una parola forte) a modo loro, finendo per suonare come dei Kula Shaker pseudo popedelici. Tra improbabili blues impregnati di anni ’60/’70, ciondolanti canzoni senza sostanza (“Mary Anne”) e una specie di Stones in salsa garage (la meno peggio “Black Nite Crash) quello che ci troviamo tra le mani è un pessimo lavoro fatto per contratto, con Andy Bell (il disco è praticamente tutta farina del suo sacco) a buttare giù un pugno di brani probabilmente mentre si stava cucinando le uova o stava portando in giro il cane. Gardener (ormai separato in casa) interviene pochissimo e quando lo fa ha pure lui la testa altrove (altrimenti una schifezza come “Deep Inside My Pocket” non si spiega).

Il classic rock dal tono spudoratamente retrò che il buon Bell ci propina non brilla in fase di scrittura, con clichè brutali, classicismi senza creatività , banalità  assortite e nessun impegno nel provare a sfornare melodie almeno carine (non belle, carine!), ma nemmeno la produzione aiuta, scarnissima, grezza e senza nessuno spunto degno di nota, incapace di dare un minimo di tono a miserie musicali di tale portata. La squadra ritmica, da sempre punto forte della band, è gestita malissimo e fa il minimo indispensabile. Andy Bell nel 1996 aveva 26 anni ma quello che ci offriva musicalmente era un disco che sarebbe potuto uscire dalla penna di un Eric Clapton a 120 anni.

La copertina per mè è sempre stata emblematica. La pistola è quella che dovremmo avere puntata addosso per dire che questo è un bel disco, ma è anche il simbolo dell’aria pesantissima e da resa dei conti che si respirava all’interno della band in quel periodo. Cosa poteva venire fuori da un disco con una copertina così? Il nulla. E così fu…

Pubblicazione: 11 marzo 1996
Dischi: 1
Tracce: 12
Genere: Rock alternativo
Etichetta: Creation Records
Produttore: Richard “Digby” Smith, Paul Motion

Tracklist:
1. Black Nite Crash
2. Sunshine / Nowhere to Run
3. Dead Man
4. Walk on Water
5. Deep Inside My Pocket
6. Mary Anne
7. Castle on the Hill
8. Gonna Be Alright
9. The Dawn Patrol
10. Ride the Wind
11. Burnin’
12. Starlight Motel