Non è una vera e propria crisi d’identità  quella in cui sono scivolati i redivivi Juliana Theory (progetto ormai in mano ai soli Brett Detar e Joshua Fielder), ma poco ci manca. La band pare voler a tutti i costi smarcarsi dal proprio passato emo-rock, e, dopo improbabili nuove pettinatire e look eleganti che inducono alla risata più che al rispetto, ecco un mini album in cui vanno a riprendere in mano vecchi classici con una nuova veste, quasi a rendere omaggio al tour acustico intrapreso nel 2019, biglietto da visita per il ritorno in pista della band.

La cosa piacevole che subito ci salta all’occhio è che, da questa tracklist, manca “Can’t Go Home”, terribile brano inedito di qualche mese fa in odor dei Fall Out Boy più piacioni, adolescenziali e radio friendly. In quel pezzo si manifestava forte e chiara la volontà  dei JT di intraprendere nuove strade, ma se questo è quello che ci riserva il futuro, beh, c’è poco da stare allegri. La ballata pianistica “Better Now”, altro recente inedito, fa invece discreta mostra di sè proprio in apertura di questa nuova uscita. Niente di memorabile, anzi, fin troppo ridondante nel finale, ma diciamo almeno che ben si adatta all’andazzo compassato dell’intero lavoro, in cui, come dicevamo sopra, un pugno di canzoni ben conosciute subisce un processo che ne abbassa i ritmi e volumi elettrici per favorire chitarre classiche e pure arrangiamenti d’archi (che, a tratti, non sono di supporto alla melodia ma appesantiscono fin troppo il risultato).

Brett ammette che il buon vecchio Unplugged targato MTV è stato esempio fondamentale per un’operazione che, però, francamente funziona solo in parte. “Into The Dark” mantiene il suo pathos originale (in questo caso l’elaborato lavoro di arrrangiamento fa il suo dovere in pieno) e “Is Patience Still Waiting?” mette in risalto, lavorando di sottrazione, la grande melodia del brano, ma poi ecco la pessima resa di “We’re At The Top Of The World”, che viene banalizzata e resa innocua come se uscisse dal coretto della chiesa o “Constellation” che non ha un briciolo dell’intensità  passata, occupata a trovare la delicata forma perfetta senza alcuna sostanza. “Bring It Low” era mediocre elettrica e tale resta anche in versione acustica.

Se l’andamento pastorale di “If I Told You This Was Killing Me Would You Stop?” non è poi così male, quello che davvero ci disturba è lo stravolgimento osceno di una canzone in origine magnifica come “Duane Joseph”. I Juliana Theory che vanno di vocoder e provano a giocare sul terreno di How To Dress Well ci fanno solo venire i brividi e la voglia di svegliarci subito da quest’incubo.

Per tornare a quanto dicevo all’inizio, i ragazzi al momento sono in mezzo al guado: guardano al passato con la voglia di prenderne solo alcuni ricordi scelti, quasi timorosi che quanto fatto possa inficiare la loro nuova strada che sembra delinearsi con suoni e look tutti nuovi. Un disco acustico, a questo punto, serve anche per prendere tempo, richiamando alla nostalgia la vecchia guardia di fan ma anche gettando un po’ di spunti per testimoniare che qualcosa sta cambiando: vedremo prossimamente se la svolta sarà  radicale come, ahimè, sembra.