Avete notato come lo scossone, avviato da “OBE” di MACE, alla musica italiana, quest’anno, abbia dato vita a progetti che, finalmente, ci suonano come “nuovi” o, almeno, come diversi dal solito? Sto parlando di “Magica Musica” di Venerus, dell’album omonimo di Madame, del cinema “Multisala” del buon vecchio Franco126 e (perchè no?) anche dell’ultimo “Taxi Driver” di Mirko Rkomi, così distante da quello che abbiamo conosciuto nel non troppo lontano 2016. A questa lista si aggiunge, ovviamente, anche il debutto del giovane BLANCO, “Blu Celeste”, uscito venerdì per Island Records, che ci offre, senz’altro, un ritratto spontaneo ed intenso di un ragazzo che vuole a tutti i costi urlarci quanto stia vivendo col cuore i suoi 17/18 anni. Ho utilizzato il verbo “urlare”, non a caso, dato che lui stesso afferma di non saper cantare, di non saper rappare ma, al contrario, di saper gridare (talvolta un po’ alla Post Malone), con tutto il fiato che ha in corpo, le sue emozioni e le sue paure ma, nonostante ciò, c’è da riconoscergli una personalità  impressionante che, decisamente, tradisce la sua giovane età : “LA CANZONE NOSTRA” è un brano che vede la collaborazione di un veterano come Salmo, eppure, io non riesco a togliermi dalla testa le parole del talento di Calvagese e stesso discorso vale per “MI FAI IMPAZZIRE” che, stavolta, vede la collaborazione di un’altra superstar della nostra musica, ovvero Sfera Ebbasta.

Dopo queste premesse, che se non altro denotano un innegabile fiuto per la hit da classifica, in un’epoca in cui i featuring sono (ahimè) ridotti a un fattore puramente commerciale, BLANCO ci spiazza, debuttando con un disco privo di collaborazioni, perchè “Blu Celeste” è lui per come si percepisce adesso e non c’è spazio per nessun’altro, al massimo, per il suo fedele produttore, Michelangelo, che svolge un lavoro a dir poco encomiabile. Il “selvaggio di provincia”, che ama correre nudo per i boschi di Calvagese della Riviera, dà  vita ad un lavoro istintivo e scritto di getto, energico, incazzato e con tanto ancora da raccontarci. Penso, per esempio, alla traccia d’apertura “Mezz’Ora Di Sole” dove, quasi come liberandosi al più presto di un peso, veniamo a conoscenza del suo rapporto con l’idea di suicidio o alla titletrack, scritta per qualcuno molto caro all’artista che, purtroppo, è venuto a mancare in circostanze a noi sconosciute ma, a parte questo, il tema in cui incappiamo, per tutta la durata del disco, è l’amore, che oscilla, continuamente, tra quello romantico e quello carnale: c’è l’amore nel mega-singolo “Notti In Bianco” che, ormai, conosciamo anche fin troppo bene; c’è l’amore in “Sai Che C’è”, che strizza l’occhio agli anni ’80 e che, molto probabilmente, ci farà  sentire in estate anche durante l’autunno, ormai, alle porte; c’è l’amore in “Paraocchi”, così come in “Lucciole”, in “Ladro Di Fiori”, in “Afrodite” e in “Pornografia (Bianco Paradiso)” dove, persino, qualche chitarra dal sapore rockeggiante riesce a trovare spazio; l’amore non manca neanche nel crescendo di “David” mentre in “Figli Di Puttana”, invece, troviamo il vero messaggio di questo lavoro, ovvero, il più classico “carpe diem” oraziano declinato alla maniera di Blanchito (“La vita è una sola, meglio se la godi”) e solo con questo brano, a mio avviso, possiamo correttamente inquadrare la rabbia ed il fervore adolescenziali che animano l’intera produzione.

Riccardo Fabbriconi, questo il suo vero nome, è spontaneo ed intenso come un qualunque giovane della sua età  dovrebbe essere ed è proprio su una parola in particolare cui vorrei porre l’accento, ovvero, “intensità “, perchè se, dal 2016 ad oggi, il sentimento che ha mosso file infinite di rapper alla scalata verso il successo è stato la “fame” e se è altrettanto vero ciò che ho detto all’inizio di questo scritto e, cioè, che la musica italiana (mainstream, si intende) stia subendo uno scossone da cui, di conseguenza, dovrà  emergere un nuovo filone musicale che, a sua volta e per forza di cose, dovrà  rispondere a nuovi canoni e (perchè no?) a nuovi valori, allora, questo ragazzo scalmanato che tanto ama starsene in mutande sotto gli occhi di tutti, non rappresenta, forse, il principio di un cambiamento radicale nell’attitudine della musica italiana che va in classifica? Non più la fame e la “fotta”, tipiche dell’universo hip hop di cui lo stesso BLANCO è figlio, bensì, appunto, l’intensità , quella che riesce ad arrivare sino ai precordi di omerica memoria. “Blu Celeste” è un disco, indubbiamente, monotematico, un difetto che, dal canto mio e tenendo conto di tutta la qualità  e la sostanza presenti, trovo ampiamente giustificabile, data l’età , perchè il cuore, quello che spesso è mancato in classifica, c’è, si fa tratto distintivo e lascia ben sperare per quello che la musica italiana potrà  essere in futuro, confidando nel fatto che questo ragazzo inquieto che, come me, tanto ancora deve crescere, un giorno, non troppo lontano, possa consegnarci un lavoro più maturo.