Che cosa mancava ancora ai Blur, quartetto inglese di Colchester, Essex, vicino Londra?
Quattro dischi già  pubblicati, un grandissimo esordio (“Lesiure”, 1991), un superbo secondo disco (“Modern Life Is Rubbish”), la soglia del fatidico 3 ° album raggiunta con il capolavoro assoluto “Parklife” del 1994, poi una lieve flessione con “Great Escape” del 1995.
Che cosa stavano ancora cercando Damon Albarn, Graham Coxon, Alex James e Dave Rowntree, nel giugno del 1996 varcando la soglia dello Studà­o Grettisgat di Reykjavik (poi a Londra, Maison Rouge), con l’intento di registrare un nuovo album?

Forse ai Blur mancava ancora la “killer hit”, quel brano che viene ripreso da serie televisive, spot pubblicitari, videogiochi, eventi sportivi. Quello che trovi in ogni servizio televisivo che celebri un successo, un qualcosa di esplosivo. Ed ecco “Song 2”, con quel suo “whoo-hoo”, un grido di gioia che la leggenda narra essere legato all’eliminazione della Spagna da parte dell’Inghilterra ai quarti di finale dell’Europeo di calcio. Il brano in realtà  è dedicato al Grunge ed a Kurt Cobain, anche la struttura ricorda quel genere musicale.
Killer hit a parte, i Blur hanno probabilmente cercato di percorrere altre strade invece di rivalegiare inutilmente con gli Oasis, ispirandosi piuttosto al sound che veniva oltre oceano, dal lo-fi dei Pavement o le sperimentazioni dei Sonic Youth. Il tutto appare evidente fin dall’incipit.

“Blur” infatti non è solo il disco di “Song 2”, è anche quello di “Beetlebum” brano che racconta di un Damon Albarn impantanato nell’eroina assieme all’allora fidanzata Justine Frischmann, leader delle Elastica.
Il terzo brano dell’album, “Country Sad Ballad Man”, riporta il sound verso un blues meno sbilenco mentre “M.O.R.” si rifà  talmente a Bowie al punto di plagiarlo nel ritornello (Boys Keep Swinging).
La successiva “On Your Own” ritorna al noise un po’ electro-glitch mentre “Theme From Retro” ricorda i momenti lisergici dei Beatles.

Il lato B del vinile perde un po’ di intensità , quasi a calare, che poi è un po’ la tendenza di quasi tutte le band, che raramente posizionano il loro miglior brano alla fine.
Con “Death Of A Party” i Blur continuano con la virata verso il lo-fi lisergico, abbassando il ritmo in una ballata malinconica. Bel colpo di coda invece è “I’m Just a Killer For Your Love”, con la voce nasale di Albarn distorta in maniera inquietante naufraga dietro agli effetti dei pedali impazziti di Coxon.
“Blur” probabilmente verrà  ricordato all’interno della discografia del gruppo come l’album della dipartita, del post rock o meglio post british-pop, della sperimentazione ben prima di “Kid A” dei Radiohead. Tutto quello che l’ultimo brano dell’album racchiude, “Essex Dogs”, distruggendo in un vortice ben 5 anni di pop inglese.

Un album piuttosto asciutto, sporco e discontinuo. Ma che per questo e per quanto c’era in circolazione nel 1997 si ferma a pochi gradini più in basso dall’essere un capolavoro.

Data di pubblicazione:  10 Febbraio  1997
Tracce:  14
Durata: 57:01
Etichetta:  Food
Produttore:   Stephen Street, Blur

Tracklist:
1. Beetlebum
2. Song 2
3. Country Sad Ballad Man
4. M.O.R.
5. On Your Own
6. Theme from Retro
7. You’re So Great
8. Death of a Party
9. Chinese Bombs
10. I’m Just a Killer for Your Love
11. Look Inside America
12. Strange News from Another Star
13. Movin’ On
14. Essex Dogs