Dura la vita quando alle spalle hai sempre l’ombra degli Smiths. Li, come un avvoltoio. Ogni canzone viene sempre filtrata attraverso quella chiave di lettura e non c’è scampo, i paragoni sono sempre li. Non basta provare a smarcarsi a parole, ci vuole la musica. Solo quella può e deve segnare la via maestra. Ecco, alla fine “Drawn To The Deep End” è tutto qui, nella volontà  (necessità ?) del quartetto di dimostrare che il costante rimando alla formazione guidata da Morrissey e Johnny Marr non aveva più motivo di esistere e che i Gene avevano una loro precisa identità .

Riuscirono a dimostrare l’assunto scritto sopra? Direi proprio di sì. “Drawn To The Deep End” è un passo avanti rispetto al (già ) magnifico “Olympian“: più strutturato, più complesso, maggiormente denso e malinconico. Dove la band può andare a scavare ecco che non ha problemi a farlo, aumentando quindi il tasso di romanticismo e, perchè no, anche con passaggi maggiormente ruvidi e sonici (Martin aveva promesso che il gruppo avrebbe mostrato maggiormente i muscoli e il singolo “Fighting Fit” o la prepotenza di “Voice Of The Father” ce lo stanno proprio a dimostrare). Se consideriamo che la registrazione fu comunque lunga e tormentata e che i soldi spesi non furono certo pochi, beh, si capisce proprio quanto i Gene avessero voglia di fare le cose per bene, anche (o sopratutto) a costo di perdere per strada chi in loro vedeva solo dei bravissimi epigoni degli Smiths.

Steve Mason in particolare in questo album fa un lavoro egregio, infondendo costanti cambi di rotta, mood e suono ai brani, senza però perdere la bussola: c’è un legame, una cornice comune che unisce le canzoni, un percorso sonoro che trova congiunzioni sonore e non solo liriche, con un Martin profondo cantore (tanto dolce e carezzevole quanto, a tratti, furioso e grintoso) di emozioni, di sconfitte e risalite, ispirato a dire poco.

“New Amusement” è splendido biglietto da visita, segno premonitrice di cambiamenti: lunga canzone oscura e passionale, che si dipana cangiante come non mai e la stessa sensazione di qualcosa in agguato, in mezzo alla dolcezza, la si trova anche in The Accidental” che vede, addirittura, la presenza di una voce femminile per un inusuale duetto. I “nuovi” Gene vogliono mettersi in gioco e stupire, non esistando nemmeno a prendersi un pezzo del nostro cuore con “Where Are They Now?” che sublima lo struggimento amoroso con quel “I’m lost in the fog” finale che ci lascia a terra, senza fiato.

“Speak To Me Someone” diventa la ballata per eccellenza, morbida e coinvolgente, ma anche qui, l’urlo disperato di Martin (quel “Noooo” debordante) ci lascia trepidanti e scossi: il classico deve diventare un   classico alla “loro maniera”. Piace l’articolata (ma deliziosa melodicamente) “We Could Be Kings” e l’epicità  di “Why I Was Born” che lavora magistralmente nell’uso del piano, ma la magia non accenna a scemare nemmeno di fronte a situazioni più convenevoli al’ utilizzo della chitarra acustica e meno sperimentali, come le dolcezze di “Long Sleeves For The Summers”. Menzione doverosa anche per quella perla carezzevole e toccante che risponde al nome di “Save Me, I’m Yours”, arrangiata in modo delicato e con un giro di chitarra soave a dire poco, mentre Martin ci culla con la sua voce.

Quante emozioni in un disco che, 25 anni dopo, è ancora scrigno prezioso e ricco di quella passione vera che troppi dischi, ultimamente, sembrano solo sfiorare con un dito, senza afferrare mai.

Pubblicazione: 17 febbraio 1997
Genere: Indie rock
Lunghezza: 52:44
Label: Polydor
Produttore: Christopher Merrick Hughes

Tracklist:
1.New Amusements
2.Fighting Fit
3.Where Are They Now?
4.Speak To Me Someone
5.We Could Be Kings
6.Why I Was Born
7.Long Sleeves For The Summer
8.Save Me, I’m Yours
9.Voice Of The Father
10.The Accidental
11.I Love You, What Are You?
12.Sub Rosa