Stranamente, forse grazie alla sceneggiatura agile e leggera, o forse perchè la storia di Christiane F. è devastante in qualsiasi modo la si racconti, si riesce anche ad arrivare in fondo. Ma più si va avanti più falle emergono.

Anzitutto questa serie non riesce a trasudare il marciume, il degrado e la disperazione dei “giovani dello zoo di Berlino”, tanto che questa serie, e quasi le faccio un complimento, sembra un mix tra il film del 1981 e “Baby” di Netflix.
Nonostante si infilzino le braccia a ripetizione con le loro sfavillanti siringhe di eroina, Christiane e la sua cricca sembrano perennemente agghindati e truccati per un servizio fotografico di Vogue.
Complice anche la colonna sonora costituita da brani (in prevalenza indie-synth) dei nostri giorni, la ricostruzione storica risulta posticcia. A chi conosce bene Berlino, peraltro, non sarà  sfuggito che in più frangenti le riprese sono state effettuate a Berlino Est, un dettaglio che forse lascia il tempo che trova, ma la dice lunga sulla superificialità  a livello scenografico.

Sono decisamente risibili anche i momenti surrealistici, che invece che le allucinazioni ricordano le pubblicità  dei profumi. Quello della prima dose di Christiane nel backstage del concerto di Bowie è francamente da sbellicarsi. E vogliamo parlare delle chiacchierate tra Babsie e il suo amico immaginario, nientemeno che il Duca Bianco?
Mettici anche qualche momento attoriale semplicemente imbarazzante, molti dei quali vedono al centro il personaggio di Babette, e la frittata è fatta.