Solitamente questi tipi di album riescono così sorprendenti quando sei un musicista da tanto tempo ed hai iniziato presto ad usare uno strumento; solitamente una tale capacità  di dominio della materia capita quando il tuo percorso personale si è affinato in progetti sempre deviati e aperti alle svariate influenze; solitamente dischi del genere capitano una o due volte nella carriera di un cantautore, di un artista  dedito alla creazione tout court   di brani musicali.

Il punto è proprio questo di rilevante, la bellissima sensazione di avere a che fare con la capacità  di Andrew Bird nel creare dal nulla delle composizioni a partire da da un impianto vuoto, fatto solo dal luogo dove stanno i suoi 4 musicisti, una dimensione da dove far sgorgare col piglio della furia inventiva che invade tutto “Inside problems” 11 piccoli grandi gioielli, ognuno degno di attenzione ma tutti collegati da un sapiente ed esperto manto di leggerezza, che li rende degni di essere ascoltati spesso ed in qualsiasi momento della giornata.

Bird riesce a condensare il noto e virtuoso eclettismo musicale in un impasto sonoro fatto di ripresa di un folk degli inizi, blues primordiale alla Nick Cave, splendide deviazioni indie pop senza mai dare l’impressione di voler far pesare o sfoggiare questa eterogenia, ma gestendo la varietà  con il minimalismo dei pochi strumenti utilizzati come collante dei diversi generi: il senso che ne esce è proprio quello di una orchestra che suona da secoli per una piccola comunità , pronta sempre a inseguire le stravaganze ordinarie del cantante di Chicago, che mette la sua voce limpida e narrante al servizio delle architetture del caso.

Si passa da delizie pop come l’iniziale “Underland” o “Make a picture” con questa atmosfera di una nostalgia da cinema francese nouvelle vague, con quel sapore tenue dello scorrere felice delle sensazioni,   a cose più ritmate, di un folk tribale, che non sarebbe dispiaciuto ai Violent Femmes, con un’impareggiabile sezione ritmica come in “Atomized” dove si parla un linguaggio popolare con un   violino tagliente, vera arma in più di tutto l’album, dosato per rompere la struttura del brano o emozionante come nella splendida “Lone Didion”, amara storia di una donna sull’orlo di una triste prevaricazione.

Bird si interroga con istintivo stupore sui destini delle nostre esistenze, sui nostri cambiamenti di pelle, che corrispondono a cambi nei desideri e nelle nostre conoscenze, come se ci fosse sempre speranza e numerose occasioni di prime volte, ballando sull’orlo di una dimensione di collisione fra baratro ed illusione, rimanendo però sempre in un equilibrio leggiadro senza mai abbandonare l’istinto musicale. Anzi, marcando maggiormente l’aspetto creativo, proponendo storie del suo quotidiano anche se possono fare male, anche se si è costretti a dire per una volta, senza ironia e fuori dai denti, di non cedere (“Never fall apart”, intensa ballad finale, come per dire “ehi fino a qui abbiamo scherzato!”), storie che eccellono per la loro elargita generosità , che si connotano spesso anche di un genuino romanticismo, che nascono e finiscono nei limiti delle canzoni senza mai chiedere il permesso di entrare nelle nostre teste, ma penetrandovi con la loro intrigante e mai banale qualità .

Soprattutto non ci si annoia mai in “Inside problems”, da qualsiasi lato   si prendano questi brani, tutti   si fanno fischiettare, vizietto abituale del nostro, che ne fa un segno distintivo decisamente esclusivo e caro, come nella splendida filastrocca pop “Eight”, perfetto esempio di una melodia semplice ed ispirata,   trascinante come la migliore musica di un David Byrne al suo apice, che eguaglia e supera forse il vero paragone celato dietro a questi suoni, che si avvalgono di una rara capacità  di sintesi del magmatico processo creativo che sta alla base di cose come questa. Perchè ciò che si apprezza in questa nuova produzione è proprio l’idea di un flusso qualitativamente sempre godibile, un risultato encomiabile  che esce sincero e invasivo come la qualità  delle cose che non hanno l’esigenza delle troppe parole per descrivere come riescono a travolgerci.