Biagio è stato più volte protagonista del nostro bollettino del venerdì, e alla fine è successo che, dopo qualche anno d’attesa, il nostro atipico cantautore ha tirato fuori dal cilindro un disco che dire “out” è ridurlo, in qualche modo, a tre letterine che, in effetti, non significano proprio nulla.

Dopo tutto, ciò che l’esordio di Biagio sulla lunga distanza (con il solito Stefanelli alla produzione “lisergica”) contiene è enunciato sin dal titolo del disco: cosa possono essere, quelle contenute nel debutto dell’artista napoletano, se non “sette semplici canzoni”, così – appunto – “out” da essere respinte da ogni razionalismo musicale, da ogni posa di mercato, da ogni inutile scatola in cui Biagio proprio non riesce a rimpicciolirsi, per imprigionarvisi. Per dirla con un’espressione napoletana, per “farsi appendere”.

Insomma, un mescolone di influenze finalizzate a reclamare la libertà  espressiva di un progetto (di vita, oltre che musicale) degno dell’attenzione di chi ha a cuore la ricerca di un qualcosa di “diverso” dalle solite “canzoni per farsi rimorchiare” del weekend. Ci siamo intesi?

“Come farsi appendere con sette semplici canzoni”, un titolo di un disco che pare più un metodo riuscito: ma tu, Biagio, questo metodo lo hai sperimentato (ottenendo il risultato declamato) oppure la tua è solo ironia?
Il filo conduttore che lega la maggior parte dei brani del disco è tematico, oltre ad essere melodico. Racconto di tutto quello che poteva andarmi bene ed in realtà  è precipitato inevitabilmente. Da conoscenze sbagliate fatte ad un concerto, all’indecisione sul provarci o meno, all’abbandono del nido materno. Quindi ho scelto un titolo che potesse racchiudere questa sensazione. Farsi appendere, in tutti gli ambiti della vita, è un’attitudine alla quale io sono votato. Appeso dalle ragazze e dalle etichette discografiche ma contento.

Nel tuo disco, mescoli sacro e profano (date un’occhiata al video visionario di “celovuoi”), amore e abbandono, cani e genitori: insomma, da dove parte la scrittura di un disco che racconta tanto, tantissimo di te?
Ho sempre strimpellato la chitarra e la mia memoria fotografica mi è stata d’aiuto per descrivere emozioni e situazioni di storie accadutemi magari la sera prima. Ho sempre avuto una buona vena autoironica ed il mio personalissimo modo di esorcizzare gli eventi strani della vita è quello di scrivere canzoni.

Il centro di Napoli, poi, pare essere uno dei principali riferimenti letterari, e d’ispirazione. Che rapporto hai con la tua città ?
Sono molto legato a Napoli ma ogni volta che se ne parla si rischia inevitabilmente di cadere in qualche clichè nel quale non mi andrò ad inserire. Ti dico che sono grato a Napoli perchè possiamo dire che mi ha svezzato. Provenendo dalla provincia, ho vissuto gran parte dell’infanzia e dell’adolescenza sotto una campana di vetro.
All’università  Napoli mi ha aiutato a diventare uomo e a comprendere i problemi e le difficoltà  della vita prima di giudicare.

Hai dedicato a Geeno, il tuo cane, uno dei primi brani estratti dal tuo disco d’esordio. A questo punto è inutile dirti che viene naturale chiederti come “selezioni” i soggetti delle tue canzoni: come nasce una canzone di Biagio?
Come canto in “mamma”, le mie canzoni nascono dalla voglia di raccontare un qualcosa che mi ha fatto molto ridere o, viceversa, per esorcizzare un evento che mi ha reso molto triste. Nel primo caso sento l’istinto irrefrenabile di scrivere come quando hai ascoltato una barzelletta che fa molto ridere e che devi raccontare subito a qualcuno.
Nel secondo caso, invece, è una vera e propria terapia che mi serve per accettare l’inevitabile cazzimma della vita che, a differenza della dea bendata, ci vede benissimo.

In “Mamma” analizzi, pur ironicamente, anche il tema della partenza, della tardiva crescita del trentenne medio che vive “con mamma e papà “. Credi che, a suo modo, questo disco possegga dei caratteri quasi “generazionali”? Ti senti di condividere determinati disagi con un’intera generazione?
Ma guarda, penso proprio di sì. Io ora non voglio elevarmi ad esempio pubblico e a grande maestro di vita ma, la prerogativa delle sette semplici canzoni, è proprio quella di affrontare temi ricorrenti nella vita di ognuno di noi. E dato che le ho scritte e pensate a cavallo dei trent’anni, non mi stupirei se alcuni miei coetanei ci si rivedessero.

“Celovuoi”, invece, è una critica velata di autoironia (come tutto il disco) a quell’approccio social che il più delle volte lascia spazio solo al fraintendimento. Cosa ne pensi dei social, che rapporto hai con i social network?
Come si evince da “celovuoi” sono un inguaribile credulone che ad un certo punto perde le staffe ed inveisce contro se stesso in primis e contro i social in secundis.

Senti, ma hai già  pensato a come portare dal vivo questa follia?
Ci stiamo lavorando!