Più di venticinque anni di attesa per un album che poco o nulla aggiunge alla carriera dei Dub War, pionieri gallesi del crossover usciti fuori dai radar ancor prima dello scoccare del nuovo millennio. Le tredici tracce di “Westgate Under Fire” sembrano essere state scritte e registrate con l’unico obiettivo di soddisfare la fame dei più inguaribili nostalgici di un’era remota dell’alternative/rap metal – addirittura precedente a quella più nota del nu metal – segnata da impegno politico, lotta al razzismo e spericolate contaminazioni con sonorità  reggae, ska e punk.

Un appetito in realtà  già  ampiamente appianato dal mix di generi che il cantante Benji Webbe propone da un paio di decenni anche con gli Skindred, gruppo ancora in attività  nato proprio sulle ceneri dei Dub War. La resurrezione artistica del trio di Newport, quindi, non è andata a coprire davvero alcuna lacuna. Per quale motivo, allora, si è sentita la necessità  di scongelare un progetto dato per morto e sepolto da anni? Senza, tra l’altro, fare alcuno sforzo per rinnovarsi o, per meglio dire, allontanarsi da una formula che poteva funzionare nel 1996, ma oggi mostra tutti i suoi limiti dal punto di vista espressivo?

Forse serviva una buona scusa per riprendere le attività  live con una vera e propria tournèe, a spezzare la catena di singoli concerti evento che si susseguono ormai dal 2014. Sta di fatto che i brani di “Westgate Under Fire”, come già  detto in apertura, difficilmente regaleranno una seconda giovinezza ai Dub War; autori di una prova un po’ incolore, a tratti persino dimenticabile, che mi sento di consigliare esclusivamente agli estimatori del caratteristico crossover rap/reggae metal forgiato nel corso degli anni dal buon Benji Webbe.

Peccato, perchè un lavoro leggermente più incisivo avrebbe potuto ridare smalto a un genere in via di estinzione. Accontentiamoci di qualche canzone accattivante (gradevoli “Art Of War”, “Mary Shelley” e “Coffin Lid”, deludenti le cover “War Inna Babylon” degli Upsetters e “Let’s Stay Together” di Al Green) e della lunga lista di ospiti di lusso che hanno fallito nel tentativo di risollevare le sorti di questo dimenticabilissimo album: i batteristi Dave Chavarri (Ill Nià±o, Soulfly), Roy Mayorga (Ministry, Stone Sour), Jamie Miller (Bad Religion, “…And You Will Know Us By The Trail Of Dead), Mike Bordin (Faith No More) e il compianto Ranking Roger, cantante dei Beat.