Sicuramente uno dei fiori all’occhiello di questa nuova ed entusiasmante edizione del Jazz Mi, rassegna itinerante che si svolge a Milano ad inizio autunno, è il ritorno in Italia del collettivo Cinematic Orchestra capitanato da Jason Swinscoe, uno dei progetti più interessanti e lungimiranti in circolazione. Didascalicamente parlando, se non ricordo male, l’ultima apparizione fu al Todays festival nell’edizione pre pandemica.

Attivi da almeno un paio di decadi sono una proposta clamorosa che fonda diverse influenze, anche spesso e sovente catalogate come nu jazz, personalmente li ritengo una chiave ultra moderna verso una nuova concezione di pop, abili nel coniugare sperimentazione di un certo approccio avanguardistico con una scrittura cristallina, quindi un songwriting di grande qualità  all’interno spesso e volentieri di suite lunghissime, dove il nocciolo è una canzone scritta bene, rotonda, tangibile e che lascia il segno.

Non c’è un disco nuovo da promuovere, com’è spesso capitato in questo abbuffante 2022, anno del ritorno ai concerti, la loro ultima fatica è del 2019 con il quarto album “To Believe” in cassaforte, arrivato dopo diversi anni di silenzio.

Siamo all’Alcatraz che li ospita sul palco A, non c’è il tutto esaurito, ma c’è altresì un’ottima cornice di pubblico. Concerto che parte intorno alle 21,20, non ci sono artisti ospiti in apertura, quindi Cinematic subito sotto i riflettori, 5 attori di un piccolo grande viaggio ben organizzato, musicisti in un intreccio sonoro di altissimo profilo, uno di loro che si dedica soprattutto alla gestione dei visual a volte in maniera artigianale, utilizzando anche una macchina da scrivere per citare, in tempo reale, alcune parole delle parti cantate affidate alla bravissima Heidi Vogel come nella clamorosa “Wait for now / Leave the world”, una canzone di una bellezza fuori categoria.

Partono subito con la suite di “Lessons”, qui in versione più scarna, mentre su disco suona più elettro, quasi in salsa indie tronica, il live anche per stare in tema con la rassegna è molto più jazz oriented degli stessi album, classiche suite rarefatte e di grande stile, con la presenza di Heidi che si alterna sul palco, come per esempio nell’altrettanto splendida “Familiar Ground”.

Io li preferisco quando la forma canzone, sebbene sia, come detto sopra, all’interno di lunghe sonorizzazioni, monopolizza le loro tracce, però trattasi di un collettivo che fa dell’approccio libero ai brani un dogma, soprattutto nella dimensione live. Un’ora e venti di concerto di valore assoluto.

Un grande ritorno.