E’ un’opera molto sfaccettata e a suo modo delicata, la serie di Ryan Murphy sul mostro di Milwaukee. Il regista e produttore americano è infatti certamente parte dello stretto circolo di autori che non hanno da temere la piattezza delle produzioni del colosso streaming, poichè molto probabilmente possono chiedergli lo sforzo finanziario che ritengono necessario.
E quindi ne è venuto fuori un oggetto disallineato dalle logiche della serialità  in streaming, che si prende il suo tempo, qualche volta anche un po’ troppo, che non calca la mano su efferatezze e cliffhanger e, soprattutto, che agisce a più livelli.

Da una parte vediamo Evan Peters fornire il suo corpo camaleontico alle terribili gesta di Jeff Dahmer, rintanarsi negli interni giallognoli e fetidi della sua alcova mortale, fallire ogni volta che cerca di resistere ai suoi impulsi sessuali ed omicidi. Da questa parte della storia, Murphy sembra quasi preoccuparsi delle vittime e, pur non lesinando in termini di costruzione di suspence e tensione, non ci offre mai dettagli troppo truculenti o scabrosi.
Le vittime di Dahmer non sono mai trattate come degli oggetti sul percorso dell’assassino seriale, anzi molto spesso è proprio il loro punto di vista ad costituire il cuore della narrazione. La serie poi per me raggiunge il suo apice quando sublima questo modo di fare in uno degli episodi più crudeli visti negli ultimi anni. Quella puntata numero sei in cui arriviamo a conoscere così bene il dolce Tony da illuderci che la sua purezza possa cambiare il corso delle cose.

E’ invece quando la miniserie indugia nel mostrare l’incapacità  e l’inequità  delle forze di polizia locali che Murphy sfodera invece tutta la sua ferocia. Attraverso lo spendido personaggio di Glenda Cleveland, la resiliente vicina di casa di Jeffrey, l’autore scoperchia un vaso di pandora pieno di autorità  disinteressate alle vittime di certi quartieri, etnie ed orientamento sessuale e pertanto quasi conniventi con il mostro.

Un mostruoso Richard Jenkins nel ruolo del tormentato e infine premuroso padre del mostro capitana una squadra di attori comprimari formidabile, scelta davvero con cura per costruire un mosaico in cui quella del mostro è soltanto una delle tante facce.

Un po’ sottotono la colonna sonora a firma di Nick Cave e Warren Ellis, che riescono a brillare soltanto negli ultimi emozionanti episodi mentre altrove si limitano a sinistri droni che avrebbe potuto scrivere chiunque.