Non hanno bisogno di alcuna presentazione i Måneskin, figli di X Factor assurti alla fama mondiale dopo le sorprendenti vittorie al Festival di Sanremo e all’Eurovision di un paio di anni fa.

Credit: Ilaria Ieie

L’uscita del loro attesissimo terzo album “Rush!” – il vero e proprio debutto internazionale del gruppo romano, contenente quasi solo canzoni in inglese – offre la possibilità anche a noi di Indie For Bunnies di spendere un paio di parole sul fenomeno del rock più amato/odiato del momento.

E per quale motivo dovremmo regalare un po’ di spazio a cotali campioni di sovraesposizione mediatica? È presto detto: i contenuti sui Måneskin generano engagement. Portano clic alle pagine che li pubblicano. Stuoli di estimatori e detrattori confluiscono sulla rete alla ricerca delle smorfiette della bassista Victoria De Angelis o delle incredibili somiglianze che il cantante Damiano David può vantare con Lady Diana, la signora del dado Knorr e Pippo Franco.

Le tonnellate di meme, le sfilate di Gucci, le false nozze celebrate a Palazzo Brancaccio, le presunte sniffate al Rotterdam Ahoy, gli atteggiamenti provocanti e le esibizioni lascive non sono altro che tanti piccoli, insignificanti episodi che un’apparentemente invincibile macchina del marketing ha sfruttato a dovere per far diventare questi quattro giovanissimi ragazzi degli idoli delle folle.

Impossibile non complimentarsi con gli esperti di comunicazione che li hanno lanciati verso le stelle, trasformandoli in una band di enorme successo capace di conquistare le vette delle classifiche di molte classifiche europee. Per non parlare del quinto posto raggiunto nel Regno Unito o della diciottesima posizione agguantata nella Billboard 200 (anche se in America, in ambito di rock italiano, fecero meglio di loro i Lacuna Coil di “Dark Adrenaline”).

Dietro le tante apparenze, l’oceano di superficialità e gli sterili dati commerciali, però, c’è la musica. E da questo punto di vista i Måneskin non hanno molto da offrirci: “Rush!” è un disco di scarsa sostanza che si fa ascoltare regalando ben poche emozioni.

Sia chiaro: non è un orrore abominevole come tanti denigratori hanno scritto o detto nelle ultime settimane. Fa piacere constatare il fatto che, nonostante il coinvolgimento di un esercito di songwriter e produttori prezzolati (su tutti spicca il leggendario Max Martin), Damiano David e compagni siano in qualche modo riusciti a mantenere un briciolo di identità e a non cedere del tutto alle logiche del mercato.

“Rush!” è un album indiscutibilmente rock: i riff e gli assoli del chitarrista Thomas Raggi hanno un ruolo importante nei pezzi, molti dei quali scritti ed eseguiti con l’energia e la faccia tosta che solo quattro ragazzi poco più che ventenni possono avere. In questo grande calderone di suoni patinati – ma non sempre annacquati – bolle un miscuglio a base di pop, glam, hard rock e indie rock dal piglio danzereccio, reso leggermente più speziato dall’aggiunta di un pizzico di funk all’acqua di rose.

Un impasto ricco ma stramasticato, perché i Måneskin non osano mai e giocano facile con diciassette canzoni nuove ma per nulla innovative, costruite ad arte per venir spezzettate e trasformate in jingle pubblicitari. O per imporsi sulle radio commerciali a forza di ritornelli a presa rapida e hook fastidiosamente irresistibili. Tiro in ballo il fastidio perché i ganci accattivanti di “Bla bla bla” e “Feel” – per non parlare di quelli delle orripilanti “Mammamia” e “Supermodel”, due veri e propri crimini contro il pop rock – sono effettivamente irritanti ma, purtroppo, si fissano in testa.

Non c’è molto altro da dire su un album che a stento ricorderemo alla fine di questo ancora fresco 2023. Diversi brani si salvano e ci fanno sperare in un futuro migliore per i Måneskin (provo a consigliare “Gasoline”, “Read your diary”, “La fine” e “Il dono della vita”, dove è ancora possibile scorgere barlumi di anima) ma altri, dispiace doverlo scrivere, sono veramente deludenti.

Perché Tom Morello ha registrato un assolo per “Gossip”, un dimenticabilissimo omaggio al peggior indie rock ballabile di inizio millennio? Per quale motivo scopiazzare indegnamente gli Idles nella violenta “Kool kids”? Chi ha consigliato a Damiano David, un cantante di indubbio talento, di mettersi in ridicolo con una pessima imitazione di Joe Talbot? Tante, troppe le domande che circondano un gruppo che, tra qualità inespresse, margini di crescita, livelli di esposizione esagerati e campagne di marketing selvagge, oscilla vertiginosamente tra lo zero e il dieci. Noi, nel dubbio, li mettiamo nel mezzo.