Ci sono artisti che sono stati leader di grandi band e poi hanno intrapreso una loro carriera da solisti, qualcuno (a dire il vero pochi) sono riusciti a mantenere altra la qualità dei loro lavori, altri hanno avuto una dignitosa carriera ma molti si sono velocemente persi, per il semplice fatto che spesso la magia di una band è irripetibile.

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Gaz Coombes fa parte della prima categoria, di quelli che non solo hanno una carriera solista all’altezza del passato ma che addirittura è riuscito album dopo album a crearsi un nuovo percorso creativo che con “Turn The Car Around” lo vede al suo quarto lavoro solista con immutata e convincente vena creativa.

Riesce a unire mestiere e talento in una combinazione micidiale, a questo aggiunge un lavoro meticoloso fatto di arrangiamenti perfetti e una produzione eccellente che finisce per farlo iscrivere definitivamente tra gli autori nei quali sai di poter trovare sempre tanti nuovi momenti interessanti.

Gaz sta diventando un po’ come il mio adorato Elvis Costello, uno dei pochi artisti che riesce con naturalezza e apparente semplicità a trovare la chiave giusta e infilare uno dopo l’altro album deliziosi, purtroppo a volte da qualcuno ignorati o un po’ superficialmente ascoltati, ma che hanno sempre la capacità di divertire mantenendo sempre una qualità alta.

“Turn The Car Around” sembra chiudere un percorso iniziato con “Matador” e continuato con “World Strongest Man”, due album ottimi ai quali ora aggiunge anche questo.

La scrittura di Gaz Coombes è sempre ricercata e sofisticata sia quando compone al pianoforte o lo fa alla chitarra, il suo grande pregio è di riuscire a mantenere sempre alta l’attenzione dell’ ascoltatore e non annoiare mai.

Il lavoro lo apre “Overnight Trains”, un pezzo al piano attorno al quale si muovono cori e che sembra annunciare un’esplosiva tensione drammatica che arriva nel finale, il seguente “Don’t Say It’s Over” possiamo considerarlo il singolo principale, con la solita eleganza ritmica e arrangiamenti sublimi ci racconta la nascita, con un leggero velo di mistero e inquietudine, di un amore.

“Feel Loop” (Lizard Dream) si muove su sapori blues liofilizzati contraddistinti da basso e chitarra in primo piano, brano riuscito come il successivo “Long Live The Strange”, pezzo adattabile come colonna sonora per un film di James Bond, magari prima o poi lo chiamano.

Evito di andare track by track ma sicuramente devo citare “This Love” con un accennato andamento reggae e “Sonny The Strong” altro gran pezzo al piano.

Gaz Coombes è per sua stessa affermazione molto attento all’ordine della composizione della track list dell’album, così almeno raccontò a me e al nostro Antonio Paolo Zucchelli quando abbiamo avuto il piacere di intervistarlo, e infatti ha lasciato per la chiusura la bella e riuscitissima  “Dance On” che è il migliore dei saluti.

Ormai Gaz Coombes non ha più bisogno di presentazioni, la sua carriera solista lo certifica come uno dei migliori cantautori in circolazione.