55 giorni di buio nel quale il partito del compromesso si trasforma nel partito della rigidezza, si attacca all’idea d’inflessibilità dello Stato – lo stesso Stato che, più volte, aveva mostrato, invece, di non essere così rigido e cristallino nel perseguire le proprie decisioni e le proprie politiche – pur di non aprire quel dialogo con le Brigate Rosse che avrebbe, molto probabilmente, portato alla liberazione di Aldo Moro.

Una situazione quella italiana nella quale né le anime più conservatrici della Democrazia Cristiana, né le forze dell’ordine, né l’esercito, né le Brigate Rosse, da sempre desiderose di rovesciare il governo, vedevano di buon occhio quel compromesso storico che Aldo Moro aveva cercato e definito con il Partito Comunista di Enrico Berlinguer.

E così quei 55 giorni videro il peggio del trasformismo e dell’ipocrisia italiana: false piste, tentativi sistematici di discredito, controllo e manipolazione dei media, accuse di follia, complottismo a buon mercato, ingerenze americane, vergognosi contatti con le mafie, processi sommari, mediazioni papali, proteste di piazza, intimidazioni, calunnie, inneggiamenti all’odio e alla violenza. Intanto un uomo, ormai solo, abbandonato dal suo stesso partito e da coloro che, oltre ad essere colleghi, si definivano amici, veniva assassinato, al termine di quella che il regista, Marco Bellocchio, raffigura come la Via Crucis laica di Aldo Moro. Le mani della politica italiana sono, ovviamente, sporche di sangue, così come quelle dei brigatisti; lo stesso Ponzio Pilato impallidisce al confronto con la freddezza calcolatrice di Giulio Andreotti, con la falsa e cortese ambiguità di Zaccagnini o con la delirante e maniacale morbosità con cui Cossiga vive il proprio ruolo di ministro degli interni. 

Ogni parola, ogni scelta, ogni movimento, ogni comportamento non è altro che un mero tentativo di depistaggio per ammaliare l’opinione pubblica e fingere un attivismo che, in realtà, non esiste e non è mai esistito: è solamente attesa; è solamente trasformismo; è solamente il noto gattopardesco immobilismo italiano, quello che prevale su qualsiasi tentativo di pulizia, di guarigione, di giustizia e di rinnovamento, quello che dopo anni, dopo i momenti oscuri del berlusconismo, del leghismo, del renzismo e del grillismo, attanaglia, ancora, questo povero e sciagurato paese, una nazione che, per quanto continui a lavarsi le
mani, come fa Moro nella serie TV, le vede, perennemente, coperte dai propri sensi di colpa, come accade a Cossiga, e quindi, come Andreotti, è costretto a nasconderle e tentare di mostrarle il meno possibile.

“Esterno Notte” esce, dunque, dalla limitata dimensione spazio-temporale del 1978 e si abbatte, come una tempesta, sul nostro presente, sull’ennesimo governo di cambiamento, questa volta retto, addirittura, dagli eredi del Movimento Sociale Italiano, quei fratelli d’Italia, il cui vero obiettivo è, in fondo, al di là degli slogan, dei luoghi comuni e delle propagande, quello di permettere alla casta, nella sua interezza, di continuare a mantenere i propri privilegi, la propria influenza, il proprio potere, facendo degli Italiani, a seconda delle necessità, le vittime o i carnefici, i colpevoli o gli innocenti, i santi o i peccatori, le guardie o i ladri, l’accusa o la giuria, ma sempre carne da macello da poter sacrificare affinché questo baraccone corrotto, che finge di volerci salvare, possa continuare a prosperare e fare i suoi comodi, elargendo, di tanto in tanto, i suoi privilegi, le sue attenzioni, le sue elemosine, le sue raccomandazioni.