Ce lo dice prima che nel film scoppi lo scandalo che la riguarda, Lydia Tár, che dovremmo giudicarla per la sua opera e non per il suo orientamento sessuale, nè tantomeno per le sue azioni poco ortodosse, quando annichilisce lo studente woke della Juliard che si rifiuta di eseguire Bach per i suoi trascorsi oggi inaccettabili.

E’ una questione difficile ed essenziale quella alla base della pellicola di Todd Field, ossia quella della separazione tra artista e opera, enormemente ostica per le odierne armate dei social network e del politically correct.

Certo qualche ombra sulla Tár, direttrice d’opera e presunta predatrice sessuale lesbica interpetatata da una Blanchett debordante (ha limite il talento di questa donna?), la pellicola la getta, ma non sapremo mai quanto il giudizio della gogna pubblica che la decreta cancellata sia aderente alla realtà. Perchè non è quello il punto, il punto è la cancellazione e la descrizione dei suoi meccanismi ripidi e inarrestabili.

Basterebbe questo a fare di Tár un grandissimo film, in realtà questo riguarda soltanto la sua seconda metà. Prima che monti lo scandalo, il film di Field immortala il gelido e spietato mondo della musica classica, uno scenario asettico in cui elitismo e crudeli voltafaccia convivono con la passione per la musica più pura e travolgente, attraverso il ritratto di una protagonista controversa quanto il mondo che incarna.

Nulla di particolarmente speciale sul fronte colonna sonora o su quello fotografico, ma le opere di Mahler e la città di Berlino vengono usate con il giusto gusto e dinamismo. Senz’altro tra i film candidati all’Oscar più interessanti di questa annata. Quello alla Blanchett dovrebbe essere invero cosa fatta.